Shoah, Janusz Korczak: il medico che non abbandonò 200 orfani

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David Spagnoletto
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Storia

Shoah, Janusz Korczak: il medico che non abbandonò 200 orfani

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David Spagnoletto

Non sempre il coraggio può essere messo in parole. Difficile raccontare chi sacrificò la sua vita per non abbandonare 200 orfani che sarebbero morti comunque nel campo di sterminio di Treblinka.

Janusz Korczak non sacrificò la sua vita per la salvezza di centinaia di bambini, lo fece per non lasciarli soli nell’ultimo e tremendo viaggio voluto e pianificato dalla spietata macchina di morte nazista.

Fu un pedagogo, scrittore e medico polacco di religione ebraica che poteva salvarsi grazie alla sua fama, che gli sarebbe potuta valere la documentazione per non finire in un lager nazista.

La sua vita poteva proseguire ancora per decenni, magari continuando a viaggiare come fece nel 1934, anno in cui visitò un kibbutz nella futura Israele per studiare il sistema educativo e ritrovare suoi ex bambini.

Perché Janusz Korczak dedicò gran parte della sua vita ai più piccoli, riuscendo a realizzare il progetto la “Casa degli Orfani”, un orfanotrofio che dirigeva grazie alle attività degli stessi bambini.

Quando l’orfanotrofio venne “spostato” dai nazisti nel ghetto di Varsavia, Janusz non si diede per vinto e continuò a occuparsi dei bambini, procurando loro cibo al mercato nero.

Si rifiutò fino all’ultimo di indossare la fascia con la stella azzurra, imposta dai nazisti agli ebrei di Varsavia: la considerava una profanazione di un simbolo, oltre che un segno di umiliazione.

Scrisse un diario che si salvò per miracolo dalle continue retate naziste nel ghetto e venne pubblicato per la prima volta in Polonia nel 1958, a cura dello scrittore Igor Newerly, e costituisce una delle testimonianze della vita nel Ghetto di Varsavia.

A Janusz Korczak venne dedicata a una piazza e un monumento, opera dello scultore Boris Saktsier per volere dello Yad Vashem.

Non si conosce il giorno esatto della sua morte. Sicuramente nella prima settimana di agosto del 1942, perché si sa che il 5 salì su un treno che doveva portarlo a Treblinka. Sapere se arrivò nel lager o morì durante il trasporto forse cambia poco.

Ciò che conta è sapere che non abbandonò i suoi bambini e fece di tutto per farli vivere, se pur brevemente, nel migliore dei modi.

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