1980 non è un anno come gli altri, né per l’Italia né per l’Europa.
Nel nostro paese si apre con l’uccisione del Presidente democristiano della Regione Siciliana Piersanti Mattarella, fratello dell’attuale Presidente della Repubblica, e si conclude con il rapimento del giudice Giovanni D’Urso da parte delle Brigate rosse e la rivolta nel carcere di Trani, con 19 agenti di custodia presi in ostaggio da un gruppo di 70 detenuti.
L’omicidio br del vicepresidente del CSM Vittorio Bachelet a febbraio e quello di maggio del giornalista del Corriere della Sera Walter Tobagi, rivendicato dalla Brigata 28 marzo, fanno capire che la stagione del sangue è tutt’altro che conclusa.
Da un anno il risveglio delle tensioni e dei conflitti internazionali hanno portato alla “seconda guerra fredda”.
Le conseguenze sono dietro l’angolo. Chi la pensa diversamente, dovrà ricredersi molto presto.
Perché il 1980 è un anno caldo per l’Italia e per l’Europa. E infatti poco prima delle 21 del 27 giugno, un DC9 della compagnia Itavia, che da Bologna deve raggiungere Palermo, scompare dai radar.
L’aereo non arriverà mai a destinazione e la sua sorte rimarrà nell’immaginario collettivo come “la strage di Ustica“: nessun superstite tra i 4 membri dell’equipaggio e i 77 passeggeri.
Il tempo farà capire che quella sera nei cieli del Mediterraneo è successo qualcosa sopra la testa dell’Italia. L’affare è internazionale, così come l'”affare maltese“, che vede protagonisti Italia, Malta, Libia e ovviamente Usa e Urss, il cui culmine arriva in estate, poco prima di un’altra strage in territorio nostrano.
È la strage alla stazione di Bologna, il più grave atto terroristico avvenuto nell’Italia repubblicana: 85 persone morte e oltre 200 ferite.
Le sentenze la decreteranno come una strage fascista. Strage cui ne seguono altre due, che insanguinano l’Europa.
Il 26 settembre in occasione dell’Oktoberfest di Monaco di Baviera una bomba uccide 13 persone e ne ferisce oltre 200, in uno degli attacchi terroristici più gravi della storia tedesca.
Il 3 ottobre una bomba palestinese esplode a Parigi davanti alla sinagoga di rue Copernic: il bilancio è di 46 feriti e 4 morti.
È un venerdì, è Shabbat, uno dei giorni in cui c’è la massima affluenza. Per di più, è anche il giorno della festa ebraica Simchat Torah e, infatti, in sinagoga ci sono 323 persone.
La bomba esplode, il baldacchino della sinagoga crolla sui presenti, una delle porte vola via. Fuori le auto vengono lanciate sulla strada, le vetrine dei negozi si frantumano, arrivando a oltre 150 metri di distanza.
Philippe Bouisson, 22 anni, che stava passando in moto, muore sul colpo. Così come Alizia Shagrir, 42 anni, conduttrice televisiva israeliana in vacanza in Francia, che camminava sul marciapiede e Jean-Michel Barbé, l’autista di una famiglia che frequenta la sinagoga. Il portiere dell’hotel Victor Hugo, Hilario Lopes-Fernandes, rimane gravemente ferito, morirà due giorni dopo.
Chi colpisce, sa quel che sta facendo. Sa che in quel momento, centinaia di persone sono accorse al tempio ebraico.
Ma non importa, anzi. Perché quello è il tempo in cui il terrorismo palestinese decide di internazionalizzare la propria lotta, facendo diventare l’Europa il suo campo di battaglia.
Dobbiamo fare un passo indietro e tornare al 13 giugno, primo dei due giorni in cui la Comunità Europea si riunisce e strizza l’occhio a Yasser Arafat, che scriverà come storica la “Dichiarazione di Venezia” del Consiglio Europeo presieduto da Francesco Cossiga, in cui si sostiene il diritto all’autodeterminazione per il popolo palestinese e si chiede che l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp) sia considerata una referente per i negoziati di pace in Medio Oriente.
In altre parole: per fare la pace bisogna dialogare con i terroristi.
È una svolta storica che da ampia libertà d’azione ad Arafat, il leader egiziano dei palestinesi, che nel 1982, poco prima dell’attentato alla Sinagoga di Roma in cui verrà ucciso il piccolo di soli due anni Stefano Gaj Taché, sarà ricevuto con tutti gli onori dall’autorità italiane.
Il tutto ha un significato particolare, così come il rilascio di Hassan Diab accusato di essere uno degli esecutori materiali della strage Parigi davanti alla sinagoga di rue Copernic, avvenuto nel 2014 per volere dei giudici francesi.
Prove invalide e contraddittorie per Diab, estradato dal Canada su richiesta della Francia.
Così la mano che compie l’attentato al tempio ebraico parigino rimane nell’ombra. Così come i mandanti, così come gli appoggi logistici prima e dopo un episodio che rimane indelebile nella coscienza degli ebrei francesi e non solo.