Un aereo proveniente da Tel Aviv atterra all’aeroporto Sarafovo di Burgas, in Bulgaria. Solo le 16.45 locali, le 15.45 in Italia del 18 giugno 2012.
Non sappiamo con esattezza cosa fanno i passeggeri dopo l’atterraggio, ma non facciamo fatica a immaginarlo: sgranchire le gambe dopo il viaggio, avvertire casa dell’arrivo, imboccare l’uscita per essere i primi a prendere le valigie.
Proprio lì, vicino al nastro trasportatore, considerato da molti il vero inizio della vacanza.
Forse è l’idea anche dei giovani turisti israeliani, presenti sull’aereo appena arrivato da Israele, che credono di aver lasciato i problemi a casa per tuffarsi in una nuova avventura estiva fatta di relax e divertimento.
Non lo sanno, ma cinque di loro non faranno più ritorno a casa (fra cui una donna incinta), perché la mano del terrorismo li ha seguiti sin lì, a Burgas, località sul Mar Nero a 400 chilometri a est di Sofia.
I conflitti mediorientali dovrebbero essere lontani e invece no. Perché qualcuno nelle alte sfere del potere iraniano ha deciso che gli israeliani devono morire, ovunque si trovino. Anche a Burgas, dove Teheran decide di avvalersi di nuovo di Hezbollah.
Il mandante è noto così come la manovalanza, ma c’è ancora chi vuole chiudere gli occhi, ritenendo l’Iran un partner per la pace ed Hezbollah un gruppo in cui vige la divisione fra ala militare e ala politica.
A nulla è valso l’attentato di esattamente 18 anni prima in Argentina, dove il 18 luglio 1994 la coppia del terrore utilizza un camioncino pieno d’esplosivo per distruggere l’Amia, centro ebraico di Buenos Aires, e per uccidere 85 persone, ferendone oltre 300.
18 anni dopo la storia si ripete in Bulgaria, ma ancora oggi c’è chi ritiene l’Iran un partner per la pace ed Hezbollah un gruppo in cui vige la divisione fra ala militare e ala politica.
Quaranta minuti dopo l’atterraggio all’aeroporto Sarafovo di Burgas, uno dei tre autobus utilizzati dai giovani turisti israeliani viene fatto esplodere da un kamikaze, come inizialmente detto da alcuni testimoni, fra cui Aviva Malka, una donna che era a bordo dell’autobus, che alla radio dell’esercito israeliano dice:
“È stato un kamikaze. Ci siamo seduti, pochi secondi dopo abbiamo avvertito la grande esplosione e siamo scappati, passando attraverso uno squarcio nell’autobus. Abbiamo visto corpi e tanti feriti”.
L’esplosione si verifica all’esterno del terminal dell’aeroporto, le autorità bulgare chiudono lo scalo, dirottando i voli su Varna, altra località sul Mar Nero.
Iran ed Hezbollah hanno sempre negato il proprio coinvolgimento. O almeno fino al 18 luglio 2014, quando la Bulgaria diede l’annuncio di aver identificato l’attentatore¸ che corrisponde a Mohamad Hassan El-Hussein, cittadino libano-francese.
Cinque morti, 32 feriti. Tutti israeliani. Perché essere israeliani significano poter morire, anche lontano da casa, in vacanza, dove le problematiche quotidiane non dovrebbero entrare.
I nomi delle vittime dell’attentato di Burgas: Kochava Shriki (42 anni, incinta), Itzik Kolangi (28), Amir Menashe (28), Elior Preiss (25) e Maor Harush (24).