“Immaginate di essere quel soldato israeliano”

Storia di come un video del Dicembre scorso sia diventato strumento della propaganda contro Israele

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Giulio Meotti
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Debunking, Israele, Medio Oriente, pregiudizio antisraeliano, Terrorismo

“Immaginate di essere quel soldato israeliano”

Storia di come un video del Dicembre scorso sia diventato strumento della propaganda contro Israele

Immaginate di essere un soldato israeliano a Kissufim. E’ un kibbutz al confine con la Striscia di Gaza. Sta lì dagli anni Cinquanta, costruito da pionieri provenienti dall’America Latina dentro ai confini riconosciuti di Israele, quelli del 1948. Dopo il ritiro dei cosiddetti “coloni” nel 2005, Kissufim è la linea del fronte per Israele. Oltre, non c’è altro. Il kibbutz negli anni ha subito infiltrazioni dei feddayen palestinesi, lanci di missili di Hamas, tentativi di costruire tunnel che sbucano fra le sue case e, nell’ottobre del 2017, anche uno strike israeliano che ha ucciso 7 terroristi palestinesi sotto uno di quei cunicoli mortali. Immaginate di essere quel soldato israeliano due mesi dopo lo strike. Avete di fronte una sommossa palestinese di là dal reticolato che separa Israele da quella énclave governata da Hamas, una organizzazione dedita alla distruzione dello stato ebraico, sorta di Afghanistan di islamismo, terrorismo, sottomissione e torture affacciata sul Mar Mediterraneo. La sommossa va avanti da due ore, con lanci di pietre e tentativi di rompere il reticolato. L’ordine militare per tutti è di non avvicinarsi a meno di cento metri da quel fence. I soldati tentano di disperdere la sommossa con lacrimogeni, colpi in aria, megafoni e altri strumenti. Uno dei capi palestinesi di questa sommossa si avvicina al confine. Il soldato ha l’ordine di colpirlo in maniera non letale. Non esiste altro modo per fermare una invasione se l’assalitore è determinato a passare il fence. Il soldato interrompe l’ordine perché vicino all’obiettivo appare un bambino. Libero il campo, il soldato fa fuoco e ferisce il palestinese. Un video illegale viene girato da parte di soldati che non c’entrano nulla con l’azione e nel sottofondo si sentono dei commilitoni che esultano per il successo dell’operazione. “Woh, che video!”.

Una organizzazione non governativa israeliana finanziata da molti paesi europei al fine di delegittimare Israele, Breaking the Silence, diffonde il video. Siamo nei giorni dopo gli scontri letali a Gaza dopo la “Marcia del Ritorno”. Serve materiale importante e quel video di quattro mesi prima ne offre l’opportunità. E fa subito il giro del mondo. I media del pianeta lo lanciano con titoli sensazionalistici, trasformando il legittimo tentativo israeliano di fermare l’invasione di un confine e finito con il ferimento di un palestinese – invasione che mesi dopo avrebbe visto la partecipazione di 50.000 palestinesi sotto la guida di Hamas – in un sadistico e gratuito videogame degli “occupanti sionisti” che fanno il tiro al piccione. E’ un classico caso della delegittimazione antisraeliana: si eliminano il contesto, le conseguenze e le cause, resta soltanto la brutale performance, cesellata a dovere per trasformare i difensori in aggressori, gli assediati in carnefici. Si parla ebraico, tanto basta. Nessuno li vuole vedere i palestinesi in festa dopo gli attentati contro i civili israeliani o i sermoni in arabo nella moschea di al Aqsa contro i “figli di maiali e scimmie”.

E’ questa la storia dei recenti tentativi di abbattimento della linea di confine fra Israele e Gaza da parte di Hamas. Scompare tutto: i fucili, le granate, gli scudi umani, i bambini e le famiglie indottrinate, i soldi che Hamas ha dato ai feriti e alle famiglie delle vittime (3.000 dollari ai morti, 500 ai feriti), i proclami cannibalistici dei capi del terrore (“mangeremo i fegati degli israeliani”, “tireremo fuori i cuori dai loro corpi”), la doppia identità dei fotografi uccisi (era un membro delle forze di sicurezza di Hamas), la vera natura delle vittime (almeno 15 delle 19 vittime del primo weekend di sommosse erano membri delle organizzazioni jihadiste palestinesi) e la ragione di Israele, che così ha impedito lo scoppio di una guerra (quella del 2014 prese il via dopo il rapimento e uccisione di tre ragazzi israeliani). Tutto deve evaporare, farsi da parte, uscire dallo schermo e dagli articolo di giornale, per lasciare spazio soltanto allo scontro impari e iniquo fra una grande forza militare e un popolo armato di sassi e di allegria.

In questi trent’anni di guerre e attriti fra israeliani e palestinesi, nessuno ricorda le missioni militari israeliane abortite per la presenza di civili palestinesi, i checkpoint rimossi e sfruttati per compiere attentati, i camion di aiuti umanitari israeliani entrati a Gaza, gli ospedali israeliani sempre pieni di feriti e malati palestinesi, le ambulanze palestinesi usate per trasportare armi e assassini, le scuole dell’Onu da cui si lanciano i missili, i tunnel scavati sotto le moschee, i processi e le condanne impartite a soldati israeliani che hanno infranto le regole di ingaggio. La Grande Menzogna si è mangiata la verità del conflitto, ovvero che Israele, l’assediato a ogni confine, la democrazia costretta a regole di ingaggio garantiste e civili da nemici che non conoscono umanità e civiltà, è la vera parte debole del conflitto.

La conquista dei cuori e delle menti occidentali è il più grande bottino palestinese. E’ così che la “questione palestinese” è diventata strategica negli ultimi cinquant’anni e che ha dominato il palcoscenico dell’Onu. Senza i giornali, le ong, le cancellerie, i tg della sera, i social e le piazze, i palestinesi oggi sarebbero più irrilevanti dei tibetani o dei papuani, loro vittime sì di una autentica “occupazione”, ma ultimi nelle gerarchia della compassione internazionale.

Il terrore e la menzogna pagano. E, soprattutto, sono virali. Il disprezzo per Israele tira.

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