Gaza: i fondali della cosiddetta “Marcia del Ritorno” e la realtà dei fatti

La reazione israeliana all'ennesima messa in scena organizzata da Hamas indigna l'opinione pubblica che preferisce non conoscere la verità

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Niram Ferretti
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Israele, Medio Oriente, News, Terrorismo

Gaza: i fondali della cosiddetta “Marcia del Ritorno” e la realtà dei fatti

La reazione israeliana all'ennesima messa in scena organizzata da Hamas indigna l'opinione pubblica che preferisce non conoscere la verità

L’allestimento teatrale della Marcia del Ritorno di venerdì scorso al confine tra Gaza e Israele, messo in piedi dall’impresario del terrore Hamas con la partecipazione di Fatah e della Jihad Islamica, ha prodotto prevedibilmente buoni risultati nell’opinione pubblica internazionale. La stampa si straccia sempre le vesti quando Israele risponde a una minaccia e lo fa aprendo il fuoco o, come nel caso dell’ultimo conflitto a Gaza nel 2014, bombarda l’enclave costiera. I massacri di civili perpetrati dalla Turchia di Erdogan a Afrin, incidono sulla capacità di indignazione collettiva in misura assai minore di quanto accade in Israele. Come da copione.

Scriveva l’anno scorso Angelo Panebianco in un suo editoriale sul Corriere della Sera:

“Come scoprire se si è affermata una egemonia culturale? C’è un modo: se una qualsiasi falsificazione della storia viene messa in circolazione con intenti partigiani e se, dopo un po’ di tempo, si scopre che quella falsificazione è penetrata nelle menti di molti, diventando una verità di senso comune, una verità che le persone accettano come ovvia, auto-evidente, allora è possibile riconoscere che una egemonia culturale si è consolidata”

Cinquanta anni di indefessa propaganda anti-israeliana l’hanno felicemente consolidata. Joseph Goebbels sarebbe stato entusiasta della narrativa egemone secondo cui gli arabi-palestinesi sarebbero le vittime e gli israeliani i carnefici. Essa ha conquistato molti cuori e menti e si basa sull’assunto che se un consorzio umano, gruppo, società, nazione è più forte di un altro consorzio analogo che cerca con sue motivazioni di contrastarlo, allora il più debole è da considerarsi dalla parte della ragione in quanto i suoi mezzi di contrasto e opposizione sono inferiori. Tale grottesco sillogismo giustificherebbe chi, durante la strategia della tensione, stava dalla parte del terrorismo rosso o nero contro la struttura dello Stato, “opprimente” e “repressiva”, da abbattere con i “poveri” mezzi a disposizione.

La leggenda degli arabi espropriati e defraudati delle loro avite terre dai colonizzatori israeliani appoggiati da ex potenze coloniali come la Gran Bretagna, ha una fattura grossolana, da soap-opera, ed è per questo che conquista. Si fonda su archetipi, su ripartizioni primitive incistate nella psiche. L’arabo palestinese rapinato dal rapace israeliano armato (possibilmente con il naso adunco), è una immagine che conquista il coracon di progressisti dal cuore d’oro, i quali sono sempre in piazza contro Israele e mai contro macellai consumati come Assad o Erdogan o contro il regime teocratico iraniano.

Sedici risultano essere al momento gli arabi-palestinesi uccisi, le vittime dell’”efferatezza” israeliana, del “massacro pasquale” (quanto è piaciuta questa titolazione alla stampa italiana) perpetrato da implacabili e sadici cecchini, i quali, tuttavia, non portavano con sé bandiere della pace, ma mitragliatrici AK-47 e granate. Hanno aperto il fuoco contro i soldati israeliani dietro la barriera di confine, così come si vede chiaramente dal girato delle telecamere di sorveglianza posizionate lungo la barriera. Undici di loro erano miliziani di Hamas ma anche membri della Brigata dei Martiri di Al-Aqsa di Fatah, della Jihad Islamica e di un gruppo salafita. La lorio identità, nota all’IDF, è stata rivendicata anche dai rispettivi gruppi terroristi di appartenenza.

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La principale preoccupazione dell’esercito israeliano era il rischio di un ingresso massiccio all’interno dei confini di Israele di migliaia di arabi-palestinesi residenti a Gaza, in modo da evitare che accadesse quello che accadde nel giugno 2011 lungo i confini libanesi e siriani, quando la folla sfondò i cancelli perimetrali ed entrò in Israele con la conseguenza di morti causati sia dal fuoco israeliano che da quello libanese.

Hamas, che sta attraversando la sua crisi politica più profonda da quando ha preso il potere a Gaza nel 2007, è l’istigatore delle provocazioni e delle infiltrazioni terroristiche che hanno causato la risposta decisa di Israele. La Marcia per il Ritorno, slogan ideologico che sottende il ritorno in tutta la Palestina, liberata da Israele usurpatore, macchia da levare sulla pristina purezza del Waqf islamico, come specificato dallo Statuto dell’gruppo integralista, null’altro è se non un diversivo per distogliere l’attenzione dal regime dittatoriale con il quale viene oppressa la popolazione di Gaza da undici anni a questa parte.

Questa è la realtà che sbuca dietro i fondali e le cortine fumogene della abituale propaganda.

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