Shavuot: Rousseau e la legge di Mosè

Rav Scialom Bahbout
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Ebraismo

Shavuot: Rousseau e la legge di Mosè

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Rav Scialom Bahbout
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Shavuot: Rousseau e la legge di Mosè

E’ noto che i Dieci Comandamenti (meglio sarebbe dire le Dieci Parole) furono accettati dal popolo ebraico e successivamente accolti da tutti i popoli nelle linee essenziali (anche se con modifiche rilevanti). La festa di Shavuot è l’occasione per ascoltare, anche in questi giorni di epidemia, la promulgazione – rivelazione avvenuta davanti a tutto il popolo. La domanda è se gli ebrei e i gentili abbiano veramente accettato in toto la “Legge di Mosè” e che influenza essa ha avuto sugli ebrei.

Può essere però interessante leggere cosa pensava, sugli ebrei e sulla legge di Mosè, Jean-Jacques Rousseau, filosofo che non simpatizzava particolarmente per il popolo ebraico, le cui parole sono quindi ancora più significative. Ecco cosa scrive Rousseau (nel testo conservato alla Biblioteca pubblica di Neuchatel, Cahier de Brouillons, notes and extraits, 7843):

…. Ma è uno spettacolo stupefacente e veramente unico vedere un popolo senza patria, privo di tetto e di terra da circa duemila anni, un popolo misto di stranieri, forse senza più un solo discendente delle primitive razze , un popolo sparso, disperso sulla terra, asservito, perseguitato, disprezzato da tutte le nazioni, che nondimeno conserva le sue caratteristiche, le sue leggi, i suoi costumi, il suo amore patriottico per l’originaria unione sociale, quando tutti i legami sembrano spezzati. Gli Ebrei ci danno un sorprendente spettacolo: le leggi di Numa, di Licurgo, di Solone, sono morte; quelle di Mosè, ben più antiche, sono sempre vive. Atene, Sparta e Roma sono perite e non hanno più lasciato figli sulla terra; Sion distrutta non ha perso i suoi. Essi si mescolano fra tutti i popoli e non vi si confondono mai; non ha più capi, e sono sempre un popolo, non hanno più patria, e sono sempre cittadini.

Quale deve essere la forza di una legislazione capace di operare simili prodigi, capace di sopravvivere ai costumi, alle leggi, all’autorità di tutte le nazioni, che, infine, per queste prove promette loro di continuare a sostenerli tutti, di vincere le vicissitudini, e di durare quanto il mondo? Di tutti i sistemi di legislazione che ci sono noti, gli uni sono enti razionali la cui stessa possibilità è discussa; altri hanno prodotto solo pochi fedeli, altri non hanno mai fatto uno Stato ben costituito,. Eccettuato questo qui, che ha sempre subito ogni prova ed ha sempre resistito. L’Ebreo e il Cristiano sono concordi nel riconoscervi la mano di Dio che, secondo l’uno, sostiene il suo popolo e, secondo l’altro, lo punisce; ma chiunque deve riconoscervi una meraviglia unica, le cui cause, divine o umane, certamente meritano lo studio e l’ammirazione dei saggi più di tutto quello che la Grecia e Roma offrono di ammirabile in materia di istituzioni politiche e di insediamenti umani.

Queste parole sono significative perché scritte oltre due secoli or sono: cosa direbbe oggi Rousseau dopo la nascita dello Stato d’Israele, un caso davvero unico di cui solo i libri di storia adottati nelle nostre scuole non si rendono conto, relegando la storia degli ebrei tra quella dei popoli antichi.

Cosa ha preservato il popolo ebraico dall’assimilazione nonostante la dispersione, le persecuzioni, i massacri legati alle epidemie che hanno costellato la sua storia? Rousseau non ha dubbi: la legislazione di Mosè, messa al centro dell’educazione da una generazione all’altra ha garantito la continuità. Una legge ascoltata o trasmessa non da un solo uomo, ma da tutto un popolo, che ha voluto rimanere fedele alle parole e all’impegno assunto ai piedi del Monte Sinai.

Una legge scritta sui rotoli di pergamena, con cui il popolo ebraico usa ballare con gioia. Perché solo ciò che si trasmette con gioia può attraversare i secoli.

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