Risultati elezioni Israele: ancora una volta maggioranza difficile

Ugo Volli
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Israele

Risultati elezioni Israele: ancora una volta maggioranza difficile

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Ugo Volli
Ugo Volli

elezioni-israele-2021Risultati elezioni Israele: ancora una volta maggioranza difficile. Per la quarta volta di seguito il sistema elettorale israeliano non è riuscito a dare una risposta chiara su come dare un governo al paese. Mentre scrivo ancora non è concluso lo spoglio e probabilmente i risultati finali si avranno solo dopo la pausa festiva di Pesach. Secondo l’ultimo conteggio che ho visto, il Likud (partito di Netanyahu) avrebbe ottenuto 30 seggi, Yesh Atid (centrosinistra, presieduto dall’ex star televisiva Lapid) 17, Shas (partito religioso sefardita) 9, I biancoazzurri di Gantz (centrosinistra) 8,  i laburisti (sinistra) 7, Yamina (destra, presidente Bennett) 7, UTJ (religiosi askenaziti) 7, Yisrael Beytenu (il partito “russo” di Libeman, destra ma anti-Netanyahu) 7,  La lista unita araba 6, i Sionisti religiosi 6, “Nuova speranza” (partito scissionista dal Likud, presieduto da Saar) 6, Meretz (estrema sinistra) 6 e Ra’am (partito religioso arabo di destra) 4.

E’ un quadro assai confuso e che può ancora mutare Ma alcune cose sono già chiare.

La prima è che i risultati dipendono da pochissimi voti. Per i piccoli partiti, quattro o cinque in queste elezioni, il problema è superare la soglia del 3,25 %, cioè circa 200 mila voti: può essere questione anche di qualche centinaio di voti in più o in meno, di elettori dispersi o di astenuti. Chi passa la soglia ha almeno 4 deputati su 120; se restano sotto i loro voti sono perduti. Il che naturalmente può rovesciare la maggioranza parlamentare e trasformare i vincitori in vinti e viceversa. Questo è uno dei limiti del sistema elettorale attuale. Nessuna meraviglia che una volta di più i sondaggi abbiano clamorosamente fallito e anche gli exit poll siano stati smentiti.

Un altro problema nasce dalla complessità politica. Questa deriva in parte dal personalismo della politica israeliana, in cui ogni leader o ogni gruppetto religioso o di provenienza geografica ha il suo partito, sicché non c’è mai stata nella storia di Israele la maggioranza assoluta di un partito e in genere i più grossi, come da tempo il Likud, si fermano al 30% o addirittura al 25% dei seggi, al massimo un  paio superano il 10% e gli altri stanno ancora più giù. Sicché le maggioranze di governo si compongono mettendo assieme almeno cinque o sei partiti, ciascuno con le sue esigenze e condizioni.

Ma la complessità viene anche dal fatto che nelle ultime elezioni si sono sovrapposte molte polarità diverse. Se si guarda a destra e sinistra, non c’è dubbio che l’elettorato israeliano sia schierato a destra (almeno per 70 deputati contro 50 e anche di più). Ma la destra non può facilmente costruire una maggioranza, perché a questa opposizione si sovrappone quella fra chi vuole conservare Netanyahu come primo ministro (52 circa) e chi lo vuole a tutti i costi eliminare, anche stando a destra (54) con un gruppetto di incerti o non impegnati in mezzo (Yamina, Ra’am). Poi c’è la questione etnica. Anche quando ci sarebbe una maggioranza di destra (esclusi gli anti-Netanyahu) oppure una di sinistra, entrambe dovrebbero essere realizzate includendo dei partiti che si definiscono arabi e sono tendenzialmente antisionisti; ma altri potenziali componenti di queste maggioranze (i sionisti religiosi, Israel Neitenu) non accettano di unire i voti con i loro. Infine c’è una contrapposizione forte sulla religione. La sinistra in generale è diffidente nei confronti dei religiosi, anche se alcuni sono più prudenti di altri a esprimere questo atteggiamento. Ma anche a destra vi sono antireligiosi molto violenti (Lieberman), e dunque l’apporto dei 22 deputati religiosi (o degli antireligiosi, che sono più o meno altrettanti) è sempre in dubbio.

Queste complessità e in particolare l’incrocio fra la contrapposizione programmatica destra/sinistra e quella personale per o contro Netanyahu, ha bloccato la politica israeliana negli ultimi due anni, impedendo che si instaurasse un governo funzionante e costando al paese un prezzo molto alto in termini politici oltre che economici. Natanyahu è riuscito, con grande abilità a non sprecare le occasioni offerte dall’amicizia di Trump e dalla disponibilità di molti paesi arabi. Ma poteva fare molto di più, se non fosse stato regolarmente bloccato dai suoi avversari politici e giudiziari. Non resta che sperare che questa situazione si superi, per esempio con un governo di centrodestra dove convergano col Likud i partiti religiosi, la destra di Bennett e quella di Saar, e magari anche quella di Liberman. Ciò corrisponderebbe agli orientamenti fondamentali dell’elettorato. Ma è un risultato molto improbabile. Potrebbe esserci una maggioranza conservatrice anche con la destra pro-Netanyahu e l’appoggio esterno degli arabi religiosi di Ra’am. Ma anche questa è una strada stretta e difficile. La sinistra potrebbe arrivare a maggioranza mettendo assieme anche i dissidenti di destra (Liberman, Saar) e tutti gli arabi. Ma sarebbe una coalizione molto disomogenea dal punto di vista programmatico e politico. Insomma, è probabile che si arrivi a una nuova elezione. Meglio votare che non farlo, soprattutto in Medio Oriente, dove le lezioni oneste sono on bene rarissimo. Ma certamente cinque scrutini in due anni sono troppi e l’elettorato dà segni di stanchezza.

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