Tishà beav: Ricostruire il Tempio che è in noi

Rav Scialom Bahbout
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Ebraismo

Tishà beav: Ricostruire il Tempio che è in noi

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La distruzione del tempio di Gerusalemme, di Francesco Hayez

Tishà beav: Ricostruire il Tempio che è in noi. Il digiuno del 9 di Av ricorda la distruzione del Primo e del Secondo Tempio (ma anche della Cacciata degli ebrei dalla Spagna e altri disastri della storia ebraica) e il sabato che lo precede viene chiamato Shabbath Hazon, per la haftarà che si legge in quel giorno: il Primo capitolo del profeta Isaia. La lettura del brano profetico dovrebbe indicare come bisogna prepararsi a celebrare Tishà beav. Come mai i Maestri hanno scelto questo brano, in cui non si parla esplicitamente della caduta di Gerusalemme e del Tempio, cosa che sarebbe stata possibile attingendo ad altri brani profetici?

Hazon, visione: vuole indicare qual è la visione che bisogna avere per creare una società che sia stabile e abbia un futuro. In effetti sembra non esserci una relazione diretta tra questa profezia e la caduta del Tempio, cui seguì, anche se non immediatamente, lo sgretolamento della società e la deportazione del popolo ebraico. Come sempre le scelte dei Maestri (e le profezie trasmesse alle generazioni future) hanno una rilevanza per i nostri tempi e non soltanto per il momento in cui sono state ispirate. Cerchiamo di capire come.

Proviamo a leggere alcuni versi del profeta:

Guarda come la città fedele è diventata una meretrice! Una volta era piena di giustizia; la giustizia dimorava in lei, ma ora sono assassini! Il tuo argento è diventato scoria, il tuo vino prescelto è diluito con acqua. I tuoi capi sono ribelli, compagni di ladri; tutti amano le tangenti e inseguono i regali. Non difendono la causa degli orfani; il caso della vedova non viene davanti a loro. (Is. 1:21-23)

Ancora più significative sono le parole che usa Isaia per combattere l’idea che l’osservanza formale, quasi burocratica, delle norme religiose sia sufficiente per salvare una società dal declino:

La moltitudine dei tuoi sacrifici, che cosa sono per me?” (dice il Signore…) “Quando verrai a comparire davanti a me, chi ti ha chiesto questo: calpestare i miei atri? Smettila di portare offerte senza senso! Il tuo incenso mi è detestabile… non sopporto le tue cattive assemblee. Le tue feste della luna nuova e le tue feste stabilite La mia le anima odia. Sono diventati un peso per Me. Sono stanco di sopportarli. Quando stenderai le tue mani in preghiera, ti nasconderò i miei occhi; anche se offri molte preghiere, non ascolterò”

La gente vive nell’illusione che basti fare delle opere “religiose” per essere considerata una brava persona. Il Talmud (Shabbat 31a) afferma che quando lasciamo questa vita e arriviamo nel mondo a venire, la prima domanda che ci verrà posta non sarà di tipo religioso (“Ti sei dedicato allo studio della Torah?“), ma sarà: “Hai operato con emunà (fedeltà) negli affari?” La domanda di tipo religioso verrà soltanto dopo.

Isaia in sostanza ci dice qual è la visione che bisogna avere per creare una società che sia stabile e abbia un futuro. Scrive Rav Jonathan Sacks che tra i lettori superficiali di Adam Smith, profeta del libero scambio, c’è la convinzione che secondo la sua visione l’economia di mercato non dipende affatto dalla moralità: “Non è dalla benevolenza del macellaio, del birraio o del fornaio che ci aspettiamo la nostra cena, ma dal rispetto per il proprio interesse“. È stata la genialità del sistema che ha trasformato l’interesse personale in bene comune da ciò che Smith chiamava, quasi misticamente, una “mano invisibile”.

L’esempio del dilemma del prigioniero spiega bene cosa si debba intendere per interesse: due persone di fronte a una scelta (tacere, confessare o accusare l’altro) sanno che l’esito della loro decisione sarebbe dipeso da ciò che l’altro avrebbe fatto, e questo non si poteva saperlo in anticipo. Se entrambe le persone agiscono razionalmente nel proprio interesse, produrranno un risultato negativo per entrambi: la premessa fondamentale dell’economia di mercato è che il perseguimento dell’interesse personale serve il bene comune. Ma non è così: l’esito negativo del dilemma del prigioniero può essere evitato solo se le due persone si trovano ripetutamente nella stessa situazione e dopo avere danneggiato l’un l’altro arrivano alla conclusione che devono collaborare e questo può accadere solo se si fidano l’uno dell’altro: questo potrà accadere solo se l’altro ha guadagnato quella fiducia agendo onestamente e con integrità.

Il destino di una società dipende da come gestiamo le pratiche commerciali: mescolare l’argento con metalli più comuni, annacquare il vino, massimizzare i profitti, senza curarsi del fatto che gli altri avrebbero sofferto. I politici usano spesso il loro ufficio solo per ottenere vantaggi personali. Tutti sanno che il sistema politico è corrotto ma non reagiscono: alla fine finiscono per accettarlo e cercano di adeguarsi e di usare gli stessi metodi. Perché dovrebbero fare sacrifici per il bene comune se tutti gli altri sono impegnati a cercare un vantaggio personale?

Una nazione, una società, in queste condizioni è malata e destinata al declino. Ciò che Isaia ha visto ed esprime con chiarezza devastante è che a volte la religione (organizzata) non è la soluzione, ma essa stessa parte del problema. Per una nazione di monoteisti può convenire scivolare nel pensiero magico: per espiare i propri peccati basta frequentare più o meno assiduamente il Tempio, offrendo sacrifici e dare spettacolo di pietà e beneficenza. il pensiero che l’uomo possa corrompere perfino Dio e cambiare la situazione ….. con una formula magica.

Un esempio classico di quanto sia importante l’avere fiducia l’uno dell’altro è dimostrato da quanto è accaduto per i mutui subprime. Le banche hanno usato strumenti finanziari e complessi che anche gli stessi banchieri non avevano compreso del tutto. A poco è servito l’avvertimento di Warren Buffet nel 2002 che sosteneva che i mutui subprime erano strumenti di distruzione finanziaria di massa.

Perché si è arrivato al disastro? Perché le banche non si fidavano più l’una dell’altra, il credito non era più disponibile e l’economia si bloccò.

La parola chiave, usata sia da Isaia che dai Saggi, è emunah, che significa fedeltà e fiducia. Isaia nella nostra haftarah usa due volte la frase kirya ne’emana, “Polis degna di fiducia”. L’economia di mercato dipende dalla fiducia. L’ingegno di chi cerca di eludere le regole supera sempre chi ha il compito di applicarle. L’unica autorità di regolamentazione sicura è la coscienza (o la voce di Dio per il credente) che ci vieta di fare ciò che sappiamo essere sbagliato, ma pensiamo di poterla fare franca.

L’avvertimento di Isaia è attuale come lo era ventisette secoli fa. Quando manca la moralità e l’economia e la politica sono guidate dal solo interesse personale, la fiducia viene meno e il tessuto sociale si disfa. È così che tutte le grandi superpotenze hanno iniziato il loro declino, e non c’è eccezione. A lungo termine, l’evidenza mostra che è più corretto seguire gli ammonimenti dei profeti che quelli che spingono al solo profitto.

Il Mondo occidentale, pur nella diversità delle nazioni, ha una visione delle cose molto simile e il pericolo è proprio di non rendersi conto superati determinati limiti- il ritorno è impossibile.

Ogni anno Tishà beav suona questo campanello di allarme per il popolo ebraico e per coloro che dicono di volersi ispirare alle sue idee. Il processo della distruzione della società inizia con la distruzione del Tempio che è in ognuno di noi. Ricostruiamolo finchè siamo in tempo.

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