Terrorismo islamico: un fenomeno che non va minimizzato

Ugo Volli
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Terrorismo islamico: un fenomeno che non va minimizzato

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Stiamo dando tutti troppo per scontato il terrorismo islamico, come se fosse un fenomeno naturale, che magari è meglio non nominare neppure, secondo il costume dei giornali e della maggior parte dei politici, come se a non parlare del male esso scomparisse. Eppure il terrorismo non è una fatalità. Fino agli anni Settanta, con l’esplodere del terrorismo rosso e di quello palestinista anche sul suolo europeo, nel nostro continente questo problema era limitato a territori particolari come i paesi baschi o l’Irlanda. Oggi invece è generale e si ripresenta spesso, anche se la censura sistematica dei media cerca di non farci pensare a questo fenomeno. E invece riflettervi è importante, perché solo comprendendo di che cosa si tratta è possibile prevenirlo.

Partiamo dunque da Strasburgo. L’assassino, Cherif Chekatt, come spiega Maurizio Molinari in un editoriale sulla Stampa:

era un immigrato di seconda generazione divenuto «gangster jihadista» perché trovava nel mondo del crimine la propria dimensione, affiancandole la versione più estrema dell’Islam che lo ha portato a gridare «Allah hu-Akbar» mentre sparava su ignari passanti. Prima di lui «gangster jihadisti» sono stati Mohammed Merah, che attaccò nel 2012 una scuola ebraica a Tolosa, Said e Cherif Kouachi membri del commando del Bataclan nel 2015, Amedy Coulibaly che sempre nel 2015 fece fuoco in un supermercato kosher parigino, Zied Ben Belgacem e Karim Cheurfi che nel 2017 tentarono gravi attacchi, e Redouane Lakim che nel marzo scorso ha ucciso un agente francese.”

In primo luogo dunque Chekatt era musulmano. Non tutti i musulmani sono terroristi, neppure tutti i terroristi sono musulmani (basta pensare al nazista Anders Behring Breivik responsabile della strage di Utoya in Norvegia sette anni fa). Ma la stragrande maggioranza dei terroristi attivi in Europa negli ultimi vent’anni sono proprio musulmani. Ed è vero che il terrorismo islamico è un fenomeno mondiale, che si estende dalla Nigeria alla Cina, dall’India al Caucaso, dagli Stati Uniti naturalmente a Israele e anche all’interno dei paesi musulmani. C’è chi giustifica questo fatto parlando di reazione al colonialismo, ma non risulta che gli induisti o i buddhisti e i membri di altre religioni, che pure sono stati almeno altrettanto oppressi e in parte lo sono ancora proprio dai musulmani, facciano altrettanto

In secondo luogo è “un immigrato di seconda generazione”, cioè un cittadino francese grazie alla legge dello ius soli vigente in Francia. “Cherif è uno dei 26.000 individui considerati una potenziale minaccia per la sicurezza nazionale in Francia, diecimila circa di questi si considera siano i radicalizzati, ovvero i più pericolosi del gruppo, monitorati dalla DGSI”. In Italia gente così viene immediatamente espulsa, dato che per fortuna la sinistra non è riuscita a far passare lo ius soli. Per questo vi sono molti meno attentati da noi che in Francia o in Belgio. Ricordiamocene quando si tratterà di votare, perché l’idea dello ius soli alberga ancora nei pensieri della sinistra (compresa quelle dei 5s). Un’altra ragione connessa, che spesso è taciuta ma è nota alle autorità, è che anche fra le forze dell’ordine non mancano gli islamisti che proteggono il terrorismo. E’ vero che anche in Italia il contrasto al terrorismo è talvolta intralciato da magistrati ipergarantisti, ma è un’altra cosa.

La terza cosa su cui riflettere è la categoria dei terroristi gangster. Se sono gangster, cioè criminali che compiono reati per avvantaggiarsi illegalmente con la forza, perché allora tutti costoro vanno a farsi ammazzare, o quanto meno imprigionare, gratis? Questa è chiaramente la sorte dei terroristi. Perché lo fanno? Qual è la ragione di gesti come quelli di Chekatt? Se sono stati “radicalizzati”, come si dice con un eufemismo che non mi piace affatto e vogliono partecipare alla guerra mondiale dell’Islam, perché non vanno nei luoghi che non sono pochi dove questa guerra si svolge davvero al confine fra mondo islamico e altre religioni (Il Caucaso e il Sinkiang e Cipro e la Bosnia e il Kashmir…) e possono contribuire allo scontro militare? Che contributo è investire con un camion o sparare addosso a gente che fa shopping nei mercatini natalizi o fa festa sulle Ramblkas o nella passeggiata di Nizza?

Questo è il problema principale, che il terrorismo non ha una razionalità militare, ma un altro senso, è fine a se stesso, non serve a nulla, se non a terrorizzare, a umiliare a distruggere delle persone che hanno il torto di essere “miscredenti”. Ma questo non è un caso, perché è uno dei pilastri dell’Islam, ciò che rende più pericolosa di qualunque altra questa religione (che non è solo una fede ma una legge, una forma di vita, una politica).

Per capirlo, basta citare qualche frase dal Corano: Circa gli infedeli (coloro che non si sottomettono all’Islam), costoro sono «gli inveterati nemici» dei musulmani \[Sura 4:101\]. I musulmani devono «arrestarli, assediarli e preparare imboscate in ogni dove» \[Sura 9:95\]. I musulmani devono anche «circondarli e metterli a morte ovunque li troviate, uccideteli ogni dove li troviate, cercate i nemici dell’Islam senza sosta» \[Sura 4:90\]. «Combatteteli finché l’Islam non regni sovrano» \[Sura 2:193\]. «Tagliate loro le mani e la punta delle loro dita» \[Sura 8:12\] I musulmani devono essere «brutali con gli infedeli» \[Sura 48:29\] «Instillerò il terrore nel cuore dei non credenti, colpite sopra il loro collo e tagliate loro la punta di tutte le dita» \[Sura 8:12\] * «Essi (gli infedeli ndr) devono essere uccisi o crocefissi e le loro mani ed i loro piedi tagliati dalla parte opposta» \[Sura 5:33\] (Questa selezione viene da qui).

Infine, voglio fare ancora una riflessione. I media e i politici europei cercano di minimizzare il terrorismo islamico, le polizie hanno regole che le obbligano a non dare informazioni sulla provenienza degli assassini o sulle loro motivazioni, la locuzione “terrorismo islamico” fu proibita dall’Amministrazione Obama e ancora tutti subiscono questo ricatto del silenzio. Ma quando si parla delle vittime, esse almeno sono trattate come persone e compiante. Finché si tratta di attentati rivolti contro cittadini europei e sul suolo del nostro continente. Quando gli stessi assassini con la stessa motivazione ammazzano degli ebrei o dei cittadini israeliani, questa pietà scompare. Nessuno condanna l’assassinio di un neonato, l’attacco a una donna incinta, lo sparo o l’investimento automobilistico nel mucchio. Le vittime sono segnate col marchio di infamia dei “coloni” – paradossale atteggiamento da parte di paesi come quelli europei che sono stati davvero a lungo coloniali, cioè hanno sfruttato le risorse e la mano d’opera di paesi lontani con cui non avevano nessun rapporto, il che certo non è il caso degli israeliani che sono indigeni della Terra di Israele e non hanno mai sfruttato la mano d’opera araba neppure lontanamente come gli Europei hanno fatto con gli africani.

E qui dunque viene fuori un’altra contraddizione dell’atteggiamento diffuso in Europa rispetto al terrorismo: non bisogna parlarne, bisogna fingere che non ci sia, bisogna ignorare la sua natura islamica, ma soprattutto si può condannare e compiangere le vittime purché esse non siano quegli ebrei che l’Europa ha perseguitato per due millenni, fino al culmine della Shoah. Solo quando i media e i politici faranno i conti con queste storture e diranno le cose come stanno, il terrorismo si potrà combattere efficacemente.

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