Startup italiana emigra a Tel Aviv: il successo del modello israeliano

La vicenda della MILANO (Minimal Invasive Light Automatic Natural Orifice), importante start-up italiana, conferma la validità del modello di Gerusalemme

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Miro Scariot
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Hi-tech, Israele, News

Startup italiana emigra a Tel Aviv: il successo del modello israeliano

La vicenda della MILANO (Minimal Invasive Light Automatic Natural Orifice), importante start-up italiana, conferma la validità del modello di Gerusalemme

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Da Milano a Tel Aviv, è questo il viaggio compiuto dalla MILANO (Minimal Invasive Light Automatic Natural Orifice) importante startup italiana attiva nel settore della robotica ospedaliera specializzata in robot capaci di operare senza cicatrici. Per Antonello Forgione, medico di chirurgia generale e oncologia mininvasiva dell’ospedale Niguarda di Milano e proprietario di questa startup, non è bastato l’aver ricevuto personalmente, dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, il premio speciale Leonardo startup. Il portafoglio dei finanziamenti pubblici e privati non si è aperto una realtà dura e deludente, ben diversa rispetto a quella che lo sta accogliendo a braccia aperte. La svolta arriva nel 2012, assieme ad altri due ingegneri, Forgione e Avi Aliman un imprenditore israeliano conosciuto durante un MBA in Bocconi, fondano ValueBiotech, che ottiene dallo Stato di Israele finanziamenti per 1,1 milioni di dollari divenendo una realtà nel panorama della startup nation. Il polo tecnologico di Tel Aviv si è confermato terreno fertile e aperto anche alle proposte provenienti dall’estero. ValueBiotech ha un obiettivo ambizioso ovvero arrivare entro il 2020 a eseguire interventi non più a livello sperimentale ma in strutture ospedaliere reali, con pazienti veri. All’azienda di Forgione e Aliman auguro il meglio ma ovviamente la loro esperienza apre numerose riflessioni che non posso esimermi dal sottoporvi.

In un articolo pubblicato su questa piattaforma qualche mese fa avevo parlato della grande quantità di PIL che Israele investe nel campo della ricerca e sviluppo. Un valore che non è nemmeno lontanamente paragonabile a quello italiano e che è frutto della capacità del sistema paese israeliano di contribuire ai progetti più meritevoli attraverso un interessante meccanismo di incentivazione fiscale e di investimenti pubblici-privati. L’approccio italiano nei confronti delle startup e della ricerca e sviluppo affonda le sue radici sia nel suo hardware ovvero nelle infrastrutture che nel suo software caratterizzato da una burocrazia elefantiaca che non ha fiuto per chi corre verso il futuro e non ha tempo di aspettare una “carta bollata” o non può permettersi di essere zavorrato da un sistema fiscale che non premia la ricerca e lo sviluppo. Manca la cultura del capitale investito in innovazione, scarsa propensione al rischio? Forse, ma se l’Italia vuole uscire dal pantano che la vede ben lontana dalla top-10 2017 del Reputation Institute in termini di capacità di trasmettere un certo magnetismo sugli investitori. Mentre si litiga e si fa politica su opere pianificate 25 anni fa come TAV e il terzo valico l’Italia perde il treno dell’innovazione e procede con il freno a mano tirato aumentando il suo cronico ritardo nel campo degli investimenti in ricerca e sviluppo. Se si vuole essere “governo del cambiamento” allora bisogna rompere l’apatia italiana nel campo R&D pensando un nuovo e più vantaggioso sistema fiscale per chi investe, come suggerito dall’OCSE nel suo rapporto annuale, magari prendendo spunto proprio da Israele.

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