Da Berlino a Londra in bicicletta per ricordare lo stesso viaggio compiuto 79 anni fa

Paul Alexander, ebreo, aveva 19 mesi quando sua madre lo affidò a una sconosciuta per metterlo in salvo dal nazismo. «Rifaccio il viaggio in bici, è la mia risposta a Hitler»

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Elena LattesBlogger, collabora con diverse testate tra le quali Agenzia Radicale e Ebraismo e Dintorni
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Shoah

Da Berlino a Londra in bicicletta per ricordare lo stesso viaggio compiuto 79 anni fa

Paul Alexander, ebreo, aveva 19 mesi quando sua madre lo affidò a una sconosciuta per metterlo in salvo dal nazismo. «Rifaccio il viaggio in bici, è la mia risposta a Hitler»

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Paul Alexander ora ne ha 81, ma nel 1939, quando aveva appena 19 mesi fu affidato ad un’infermiera inglese volontaria. Suo padre era già stato deportato a Buchenwald e sua mamma, che aveva già perso due bambini alla nascita, ebbe un gran coraggio a lasciarlo andare in uno degli ultimi “Kindertransport”. “Deve aver pensato ‘Devo fare tutto quello che posso per metterlo in salvo’. Mi mise sul treno senza sapere se mi avrebbe rivisto. È difficile immaginare cosa potesse passarle per la testa”. Racconta Alexander ad alcuni giornalisti inglesi ed israeliani.

Dopo la Notte dei Cristalli, il 9 novembre del 1938, un gruppo di leader evangelici, ebrei e quaccheri chiese al primo ministro inglese Chamberlain di far entrare nel Paese i bambini ebrei che sarebbero arrivati senza familiari adulti. Venne organizzata immediatamente una squadra che permise il salvataggio di 196 orfani da una struttura berlinese incendiata dai nazisti durante la Kristallnacht. Nei mesi successivi, fino allo scoppio della guerra, migliaia di altri giovani e giovanissimi furono portati in Gran Bretagna, via dalla Germania, dall’Austria, dalla Polonia e dalla Cecoslovacchia. L’ultimo convoglio partì dall’Olanda il 14 maggio del 1940, il giorno prima che il Paese si arrendesse.

Paul era uno dei più piccoli e ora a ripercorrere il tragitto in bicicletta è il più anziano e l’unico del gruppo, che ha percorso interamente il tragitto, che fosse presente anche all’epoca. È stato accompagnato dal figlio 34enne, Nadav, e dal nipote Daniel di 15 anni. Con loro sono andati altri 39 ciclisti, molti dei quali discendono da quei bambini. Insieme sono partiti da Berlino, per imbarcarsi a Hook in Olandra e riprendere il viaggio in bicicletta fino alla stazione di Liverpool Street a Londra, dove si è tenuta una cerimonia di fronte al monumento che ricorda i piccoli salvati.

Tra i partecipanti c’è Ian Goldsmith di 56 anni che ha scoperto la storia della sua famiglia soltanto l’anno scorso quando chiese il passaporto tedesco all’indomani del referendum sulla Brexit. Suo padre Salomon, che all’epoca aveva 13 anni e il fratello Bruno di 12 arrivarono con il primo trasporto nel 1938. La loro mamma era morta di cancro e il papà fu poi ucciso nei campi di sterminio, così come avvenne per tutti gli altri familiari, zii e 14 cugini.

Un altro ciclista è Phil Harris che ha partecipato in memoria della nonna la quale aveva 16 anni ed era una delle più grandi. I suoi genitori forse sperarono di poterla presto rivedere, ma finirono entrambi ad Auschwitz. “Lei non parlava mai e mia mamma sapeva solo i fatti più salienti”. La notte prima della partenza Harris ha dormito nella casa dei suoi bisnonni davanti alla quale ora c’è una delle “pietre d’inciampo” per ricordare la loro deportazione. “Penso che sia un gesto carino iniziare questo viaggio dal punto in cui mia nonna ha cominciato il suo”.

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Alexander, invece, fu più fortunato di loro e di gran parte degli altri bambini i quali non videro più i loro genitori: suo padre fu liberato a condizione che lasciasse immediatamente la Germania. Arrivò in Gran Bretagna tredici giorni dopo il figlio, ma a settembre, quando scoppiò la guerra, egli fu considerato un “estraneo nemico” e venne di nuovo internato, questa volta nel campo profughi Kitchener (per quanto potesse essere disagevole, ovviamente non aveva niente a che fare con un lager nazista). Due mesi dopo venne rilasciato ed entrò nell’esercito di Sua Maestà. La mamma di Paul, grazie all’aiuto di un’amica, ottenne un visto nell’agosto del 1939 e riuscì, dopo mille peripezie, a salire su un convoglio ferroviario di prima classe, fingendosi un’elegante signora che visitava il Regno Unito. Arrivò in Inghilterra qualche giorno prima dello scoppio della guerra.

Paul fu affidato ad un’altra famiglia finché non riuscì a ricongiungersi con i suoi, più di tre anni dopo in seguito alla fuga dai bombardamenti su Londra. Dopo essersi laureato in Giurisprudenza tornò nella capitale dove incontrò la futura moglie e insieme nel 1971 fecero l’alyà (andarono a vivere in Israele). Ora ha tre figli e nove nipoti e prima di partire ha dichiarato al “The Jewish Chronicle” di essere eccitato ed emozionato nel prendere parte a questa bella e assolutamente unica avventura. La manifestazione è infatti un tributo al lavoro e al coraggio di quanti eroicamente si adoperarono per strappare dalle grinfie naziste i diecimila bambini che non sarebbero altrimenti sopravvissuti.

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