Palmira, Siria: iscrizioni e testimonianze ebraiche possono perdersi per sempre

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Yoseph Fatucci
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Cultura

Palmira, Siria: iscrizioni e testimonianze ebraiche possono perdersi per sempre

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Yoseph Fatucci

Tra tutti i reperti archeologici che Palmira, centro abitato nel deserto siriano ormai sotto il controllo dello Stato Islamico, contiene, ci sono molte tracce della storia ebraica, tra queste la più importante è sicuramente la più lunga citazione biblica ebraica mai trovata: i primi versi dello Shemà, una delle più importanti preghiere della religione ebraica, incisi su una porta di una casa nella città vecchia.

L’ esistenza di questa incisione fu documentata per l’ ultima volta nel 1933; quando Eleazar Sukenik, studioso proveniente da un’ università ebraica, la fotografò. Non ci sono notizie sulla sorte dell’ incisione dopo quel momento.

Palmira era una delle più importanti città dell’ Impero romano, divenuta tale poiché aveva la funzione di un magazzino che collegava l’Oriente all’Occidente, rendendo possibile il passaggio di merci dall’India verso Roma e viceversa.

Proprio a causa della sua posizione unica, la cultura e l’ arte di Palmira sono una fusione tra le tradizioni romane e persiane: buona parte della città è stata costruita con mattoni di fango, tradizionali dei Mesopotamici; tuttavia templi dedicati alla religione ebraica sono stati costruiti con uno stile classico, ossia con colonne scavate in pietra. Dopo l’abbandono della città in seguito alla sua distruzione, nel 273, la zona diventò la casa di una fiorente comunità ebraica.

I Siriani chiamano ancora oggi questa città Tadmor, così denominata fin dalla sua costruzione e dalla sua recinzione con alte e spesse mura; furono i Greci a chiamarla Palmyra. Lo storico Josephus Claim in un suo scritto afferma che la città fu invece costruita dal re Salomone, tuttavia gli studiosi moderni contestano questa affermazione: i reperti archeologici indicano che la città di Palmira fu costruita dopo il regno di Salomone; la città biblica che viene confusa con Palmira, Tamar, si trovava invece nel deserto del Negev.

Gli studiosi hanno inoltre concluso che i quattro versi dello Shemà incisi sulla porta dovessero appartenere all’ingresso di una sinagoga, senza però trascurare completamente l’ipotesi che si trattasse di una casa privata. Nonostante non ci sia ancora chiarezza su chi ha fondato Palmira e su chi la abitasse in certi periodi storici, queste incisioni danno la certezza che una comunità ebraica si insediò anche nella città classica di Palmira, quella situata in Siria, non solo nella città biblica, situata invece nel deserto del Negev.

In uno dei suoi periodi più intriganti, Palmira fu brevemente governata dalla regina Zenobia, che si ribellò nei confronti di Roma. Dopo essere salita al trono in seguito alla morte di suo marito, avvenuta nel 267, attuò una politica espansionistica arrivando a conquistare buona parte del Levante, e nel 271 conquistò l’ Egitto.

Nonostante incisioni cristiane affermano che fosse ebrea, non ci sono riferimenti ebraici che lo confermano; all’epoca gli ebrei si schierarono dalla parte di Roma. Rabbi Johanan bar Nappaha infatti disse: “Felice sarà chi vedrà la caduta di Tadmor”, egli morirà “felice” nel 279, qualche anno dopo la caduta di Palmira. Prove dell’ insediamento ebraico si affievoliscono nel quarto secolo, quando la città nuovamente abitata diventò l’ombra del suo antico splendore.

Rabbi Benjamin di Tudela, ebreo spagnolo vissuto nel dodicesimo secolo che ha raccontato i suoi viaggi in giro per il mondo, descrivendo Palmira nel 1170 la paragona alle antiche rovine che egli stesso ha visto a Baalbek, in Libano: scrisse che ci sono strutture formate da grandi pietre in entrambe le zone. Catalogando le comunità ebraiche che visitò, scrisse di Palmira che era abitata da circa duemila ebrei, Gerusalemme ne ospitava solo duecento.

Nel 1400, la città fu conquistata e razziata dai Turchi, che posero effettivamente fine agli insediamenti ebraici nel sito.

Con la recente conquista da parte dello Stato Islamico, gli archeologi e gli storici sono sensibilmente preoccupati per la sorte di reperti e rovine, consapevoli che i nuovi occupanti dell’area potrebbero distruggere tutto con un fine propagandistico come già fatto precedentemente presso Hatira e Mosul in Iran.

 

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