“Jewish Manga Art”: a Venezia una mostra sui fumetti giapponesi con soggetto ebraico. Che molti dei super eroi americani fossero stati concepiti da disegnatori e fumettisti ebrei è ormai cosa nota. Basti pensare a Supeman, la cui genesi ricorda quella di Mosè e il cui nome criptoniano Kal-El in ebraico vuol dire “la voce divina”, inventato da Jerry Siegel e Joseph “Joe” Shuster, o all’Uomo Ragno, al Capitano Hulk (le cui analogie con il Golem e la sua storia sono state notate da più fonti) o ai Fantastici Quattro, nati dalle mani di Stanley Martin Lieber, alias Stan Lee, e il suo amico cristiano Steve Ditko. Anche l’inventore dei giornaletti, così come li conosciamo oggigiorno, fu l’ebreo Maxwell Ginsburg, in arte Charlie Gaines, che nel 1933 ebbe la geniale idea di riunire in un’unica rivista tutte le strisce di fumetti fino allora pubblicate. Come non ricordare poi il famoso “Maus” di Art Spiegelman, il primo racconto per immagini a vincere il Premio Pulitzer?
Meno risaputo e soprattutto meno comune è, invece, il legame tra l’ebraismo e i manga giapponesi. I precedenti non mancano: già uno dei primi vignettisti, considerato il padre dei famosi personaggi del Sol Levante, Osamu Tezuka, ambientò alcune sue opere (Dawn, i Tre Adolf, ecc.) nel periodo della seconda guerra mondiale. La denuncia delle persecuzioni antisemite e del razzismo in esse contenuta sembra sia stata altamente influenzata dal cartoonist ebreo Milt Gross e in particolare dal suo muto “graphic novel” “He done Her Wrong” in cui l’autore americano espresse la sua cultura yiddish.
Il manga dedicato al Diario di Anna Frank, poi, ha fatto conoscere la tragica storia della piccola a milioni di suoi coetanei nipponici.
La Shoah e le persecuzioni, però, come si sa, sono solo i più drammatici e bui tra i numerosi capitoli della storia ebraica, e dunque non poteva mancare un vignettista che parlasse invece della cultura e delle tradizioni plurimillenarie. Ecco allora Thomas Carlo Lay, nato in Sardegna, da padre ebreo, che ha studiato all’accademia di arte drammatica parigina, poi a Londra e in Giappone. Uno dei primi mangaka (disegnatori) italiani ad essere stati ammessi alla scuola di Yumiko Igarashi, la mamma di Candy Candy e Georgie. 25 dei suoi pannelli sono stati esposti prima a Roma, nell’ottobre scorso in occasione della Giornata della Cultura ebraica, in Sardegna a gennaio e, in questo periodo, (dal 20 marzo, vigilia della festa ebraica di Purim, fino al 28 aprile) a Venezia in una mostra dal titolo: “Jewish Manga art – La bellezza del rigore”.
«Quella ebraica e quella giapponese sembrano due culture lontanissime – sostiene Lay intervistato da alcuni giornali – e invece non è vero. Da ebreo ritengo che l’iconografia classica possa essere reinterpretata in una chiave artistica contemporanea. Ho scelto il linguaggio del manga perché mi appartiene da sempre e per il quale ho deciso di vivere in Giappone per molti anni. Il mio intento oggi – ha spiegato – è quello di unire la spiritualità ebraica con l’iconografia di un’arte specifica e complessa come quella nipponica dei manga, radicata nella cultura giapponese già da Hokusai. La mia speranza è quella di attualizzare e rendere più popolare l’iconografia ebraica, facendola conoscere anche a chi ebreo non è. Questa serie di opere, formata principalmente da ritratti, apre il mio percorso di rilettura artistica che vorrei ampliare a tutti gli elementi religiosi tipici della cultura di Israele. Il mio mercato – conclude l’artista – è prevalentemente ebraico, e si concentra tra Italia, Israele e gli Stati Uniti. Però, ai giovani artisti consiglierei di essere sempre curiosi, d’interessarsi al lavoro degli altri, alle differenti forme di cultura».