Lo Stato chiede indietro il vitalizio a una donna perseguitata razziale

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Lo Stato chiede indietro il vitalizio a una donna perseguitata razziale

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Verrebbe da definirla una storia all’“italiana”. Una di quelle in cui la burocrazia ci mette lo zampino e non lo toglie più. La protagonista, suo malgrado, è Messauda Fadlun, la quale ha ricevuto l’assegno vitalizio di benemerenza che si rilascia ai cittadini italiani vittime di persecuzioni dal 2007 al 2018, anno della sua morte.

Ora lo Stato italiano ha chiesto al marito Alberto Finzi la restituzione della somma, pari a 80mila euro, che la donna prese proprio in virtù del suo status di perseguitata razziale.

A denunciare l’incredibile vicenda è il figlio di Messauda, il rabbino della Comunità ebraica di Napoli, Ariel Finzi, che ha rivelato:

“Lo Stato chiede a mio padre Alberto, che ha quasi 99 anni, la restituzione di 80mila euro”.

La motivazione è assurda: secondo lo Stato italiano all’epoca dei fatti Messauda Fadlun aveva una cittadinanza non completamente italiana, perché la donna ebrea è nata a Bengasi e cresciuta a Tripoli e, quindi,  al momento delle persecuzioni non aveva “piena cittadinanza italiana”. Una dicitura considerata un’altra discriminazione dai familiari della donna.

Al momento sono aperti diversi scenari. La Corte dei conti di Torino, infatti, competente per questo tipo di controversie, ha preso la decisione di sospendere il provvedimento che dava ragione allo Stato italiano e che la famiglia Finzi aveva impugnato.

Una storia dai contorni oscuri. Per prima cosa lo Stato italiano dovrebbe spiegare cosa vuol dire non avere “piena cittadinanza italiana”: come si può essere un po’ italiani?

Ma soprattutto come si può essere un po’ italiani ma non quanto basta per ricevere l’assegno vitalizio di benemerenza che si rilascia ai cittadini italiani vittime di persecuzioni?

Una domanda di cui fra qualche tempo avremo risposta dalla Corte dei conti di Torino, che prima o poi dovrà esprimersi in maniera definita su questa particolare vicenda.

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