L’attacco alla raffineria saudita: un atto di guerra iraniano contro gli Usa

Ugo Volli
Ugo Volli
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Medio Oriente, Terrorismo

L’attacco alla raffineria saudita: un atto di guerra iraniano contro gli Usa

Medio Oriente, Terrorismo
Ugo Volli
Ugo Volli

Sui giornali e nella politica europea non ha avuto molta attenzione l’attacco alle raffinerie saudite dei giorni scorsi. Eppure si tratta di un evento molto importante, innanzitutto sul piano economico, perché gli impianti colpiti erano importantissimi e i danni comportano una diminuzione della produzione mondiale di circa il 5%, il che avrà un impatto forte sui prezzi, fra l’altro assai più in Europa, quasi interamente dipendente dalle importazioni di petrolio, che negli Stati Uniti, ormai autosufficienti per questa risorsa. Qualcuno ricorda lo “shock petrolifero” del 1973 quando la Lega Araba, per vendicarsi della sconfitta nella guerra del Kippur, tagliò i rifornimenti a tutti i paesi che non mostravano ostilità ad Israele, innescando una crisi economica mondiale. Oggi le posizioni non sono più quelle, ma è chiaro che l’Iran sta cercando di ottenere un effetto analogo, attaccando raffinerie, petroliere, minacciando la chiusura completa del Golfo.

In secondo luogo la sfida è politica: l’Iran sta cercando di espellere gli Stati Uniti dal Medio Oriente, per poter impadronirsi del Golfo Persico e quindi di gran parte del petrolio mondiale, vuole distruggere i regimi filo-occidentali dell’Arabia e degli Emirati, ha ormai un potere rilevante in Yemen, Iraq, Siria, Libano, prepara l’arma atomica, vuole soprattutto distruggere Israele. Gli Usa contrastano questa strategia con le sanzioni, Israele si difende in Libano, Siria Iraq. Cina e soprattutto Russia, la grande protettrice dell’Iran, guardano con compiacimento a questa vicenda dal punto di vista del loro interesse, come una fonte di guai per l’America; l’Europa con la solita ottusità ideologica e saccenza da mosca cocchiera, predica “pace e moderazione”, ma in realtà cerca di sabotare la strategia americana di blocco economico dell’Iran (perché è l’economia in crisi il punto debole degli ayatollah) per trarne qualche vantaggio economico e per odio a Trump e alla sua America.

In realtà l’Iran è stato lasciato libero di fare quel che vuole: ha abbattuto un paio di mesi fa un drone americano nelle acque internazionali del Golfo Persico; ha compiuto atti di pirateria prendendo possesso di due petroliere in queste acque; quando una sua petroliera è stata bloccata a Gibilterra perché violava il blocco Onu della Siria ne ha ottenuto la liberazione con false promesse di portare altrove il suo carico di petrolio, ma poi ha mandato la nave a scaricare il petrolio proprio in Siria, più esattamente a Tartus, che è la maggiore base della marina russa nel Mediterraneo. Ha finanziato e armato i ribelli Houti in Yemen, ma soprattutto le milizie sciite in Iraq e Siria, Hezbollah in Libano e ancora Siria, Hamas e Jihad Islamica a Gaza e in Giudea e Samaria. Sembrerebbe un attore impazzito della politica mondiale, ma c’è del metodo (imperialista) in questa follia. Si pensi per esempio a questi attacchi alla raffineria saudita: i missili da crociera e i droni che l’hanno compiuto (una ventina di velivoli, è stata una cosa in grande stile) erano iraniani; ma la rivendicazione è stata fatta dagli Houti, che sono i pupazzi dell’Iran in Yemen; e il lancio è stato fatto dall’Iraq. Non c’è esempio più chiaro della rete d’attacco imperialista montata dagli ayatollah.

Israele si oppone militarmente e proprio perciò finora non è stato colpito; ma si è letto di recente che la Russia sta di nuovo intervenendo per impedire la dissuasione israeliana in Siria. Ciò è molto grave, perché mette Israele nella scelta se scontrarsi direttamente con le truppe russe o subire la crescita della rete d’attacco iraniana con decine di migliaia di razzi di precisione proprio al suo confine. Le scelte decisive sono ora in mano a Trump. Semplificando al massimo la questione, Trump può continuare la politica delle parole forti e della stretta del blocco economico dell’Iraq, ma rischia dopo quest’ennesimo attacco ai suoi alleati, di perdere credibilità. O può decidere una rappresaglia militare, che però avrebbe sviluppi imprevedibili e rischierebbe di costargli le elezioni dell’anno prossimo. E’ anche una lotta contro il tempo: l’Iran cerca di mostrarsi invincibile militarmente e capace di sconfiggere gli Stati Uniti prima che le sanzioni distruggano del tutto la sua economia; gli Usa hanno bisogno di tempo per far agire l’assedio economico.

Entrambi puntano a un accordo, ma non lo stesso accordo. L’Iran vorrebbe restaurare da vincitore il trattato di Obama e avere in mano così il Medio Oriente, facendo i conti con Israele e nemici sunniti, aspettando qualche anno prima di dotarsi esplicitamente dell’arma atomica e diventare inattaccabile. Trump vorrebbe riformulare il vecchio trattato, rendendo definitiva la proibizione dell’armamento nucleare, includendo la proibizione dei missili strategici e la rinuncia da parte dell’Iran all’imperialismo e in particolare all’attacco dei paesi del Golfo e di Israele. E’ un braccio di ferro assai difficile. L’esito cercato dall’Iran è la costituzione di un blocco islamico totale sotto la sua egemonia che controllerebbe il Medio Oriente, sarebbe capace di eliminare in un modo o nell’altro Israele e naturalmente a questo punto cercherebbe l’egemonia nel Mediterraneo minacciando l’Europa e nell’Asia centrale, isolando la Russia. Quello voluto da Trump è invece la conservazione degli equilibri in Medio Oriente, contro ogni imperialismo, il che garantirebbe Israele e gli stati del Golfo inclusa l’Arabia, restaurando l’autonomia di Iraq, Siria e Libano con l’eliminazione dei terroristi.

Sono due disegni incompatibili ed è evidente che al mondo conviene di gran lunga in termini strategici quello americano. Ma Europa e Russia non si curano dei pericoli a lungo termine e preferiscono cercare vantaggi a breve. E’ chiaro che la guerra continuerà. Forse continuerà ad essere solo guerra economica, con occasionali colpi di mano militari. Ma facilmente, domani o fra qualche mese, Trump deciderà che l’America non può più continuare a perdere la faccia, o gli iraniani per azzardo o disperazione, faranno qualche mossa ancora più estremo. E avremo ancora una guerra del Golfo, con il rischio concreto di un’estensione a tutto il Medio Oriente e oltre.

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