Quel sindaco narciso che dedica la strada ad un terrorista

Gerardo Verolino
Gerardo Verolino
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Terrorismo

Quel sindaco narciso che dedica la strada ad un terrorista

Terrorismo
Gerardo Verolino
Gerardo Verolino

Cosa spinge il sindaco di una grande città italiana, come Palermo o Napoli, ad intitolare una via, una piazza o un murale, ad un protagonista della vita politica straniera, peraltro  discutibile, chiacchierato, se non inquietante, che nulla o poco ha da spartire con la storia, le tradizioni o gli eventi di quella città, e che magari non ha mai messo piede in quel luogo giustificandone in qualche modo l’impropria attribuzione?

Che cosa è saltato nella testa del sindaco di Napoli quando ha voluto tratteggiare la facciata di un palazzo napoletano col volto del Comandante della Revolucion Ernesto Che Guevara, il criminale comunista che istituisce a Cuba i campi di concentramento per gli omosessuali, che poco o niente ha a che vedere con la città di Napoli, che non ha nessun legame, seppur lontano con essa, che non vi ha mai messo piede una volta, che sia una nella vita?

E che cosa è passato per la testa del sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, quando ha voluto dedicare un lungomare della sua città a Yasser Arafat, l’ex capo dell’Organizzazione per la liberazione della Palestina (l’organizzazione terroristica più ricca della storia scrive, già nel 1977 il “Time”), l’egiziano del Cairo, uomo ambiguo ed inaffidabile, seminatore di odio e non di pace, uno che ha sul gobbo una serie infinita di attentati sanguinari che non risparmiano neppure donne e bambini innocenti (e che esporterà anche in Europa) e che non può essere certo additato ad esempio per le nuove generazioni; quando con Palermo, i palestinesi, l’Olp, la famiglia Arafat, non hanno niente, ma proprio niente, in comune?

La colpa di questi strani comportamenti sta nel fatto che a compierli sono dei sindaci vittime del proprio debordante narcisismo; sindaci piacioni, che vivono beandosi nell’immagine di sé riflessa, egocentrici all’ennesima potenza, alla Orlando o alla de Magistris appunto. I quali sono più impegnati a darsi un’immagine e un tono da leader planetario: il terzomondismo, i ponti della Pace, l’accoglienza ai migranti, così come il filo-palestinismo che si intreccia col filo-islamismo che spesso si associa alla critica feroce alla politica del governo d’Israele, piuttosto che occuparsi dei problemi quotidiani delle proprie città le quali infatti languono tra i disservizi e il degrado. Sono affetti da una forma di narcisismo, che non si esagera a definire patologico, che li spinge ad interessarsi dei grandi temi di carattere internazionale: dai curdi alla Catalogna, dal Medio Oriente alla Cina, dimenticando di essere semplici amministratori pubblici che devono badare ai servizi per i loro cittadini. Ed invece, il loro esiziale narcisismo, che è una forma di tardo-adolescentismo irrisolto (che cos’è intitolare una lapide o creare un murale se non la continuazione delle manifestazioni tipiche dell’età adolescenziale durante la quale il giovane appende nella cameretta il poster del proprio idolo che può essere tanto il cantante rock, o l’attaccante della squadra del cuore, o il Che) li porta a disinteressarsi dei compiti basilari per i quali sono stati eletti spingendoli ad impicciarsi di argomenti che non sono di loro stretta pertinenza.

Capita così che Leoluca Orlando decida di intitolare un tratto del lungomare di Palermo, davanti nientemeno che a Nasser Al-Kidwa, presidente della Arafat Foundation, al defunto leader dell’Olp, Yasser Arafat (“l’uomo di pace” che come un boss mafioso o un pistolero dei western andava in giro sempre con la pistola nella fondina per intimorire la gente), senza che ve ne sia una ragione plausibile. Non ricorre, infatti, nessuna data particolare che lo giustifichi. Non si ricorda un riferimento uno che leghi Ramallah a Palermo. I siciliani ai palestinesi. Una battaglia comune. Un senso logico che giustifichi questa scelta. Niente. Solo il capriccio di un sindaco egocentrico che coinvolge un’intera città in quello che è un suo gusto personale: lo schierarsi a favore della causa palestinese. Se Arafat (il nipote del nazi-islamico Amin al Hussein, il Gran Muftì di Gerusalemme sodale ed alleato di Hitler e del lll Reich) piace a me, è il pensiero di Orlando, deve piacere a tutti.

E non fa niente se Arafat, come capo delle Brigate al Aqsa di Al Fatah, uno dei più spietati commando terroristici, abbia le mani sporche del sangue dei tanti civili uccisi. Non fa niente se è l’uomo che fonda l’internazionale del terrore con al Fatah, Hamas, Hezbollah e la Jihad islamica. E non fa niente se si nutre del deliberato proposito di annientare lo Stato d’Israele. Di quanti, efferati ed innumerevoli attentati si è macchiato Arafat. Solo per ricordarne alcuni. Quello dell’8 Maggio 1970, ad esempio, quando un commando militare di terroristi dell’Olp, spara a colpi di bazooka contro uno scuolabus israeliano lasciando sul terreno 9 bambini e tre insegnanti di Moshav Avivim. O la bomba che esplode sull’aereo della Swissair diretto a Zurigo che fa 38 morti tra i passeggeri oltre a nove membri dell’equipaggio. O l’attentato su un volo della Twa: 21 morti. L’assalto all’aereoporto Ben Gurion di Tel Aviv: 26 morti e 80 feriti. E come dimenticare l’attentato compiuto da Settembre Nero durante le Olimpiadi di Monaco del ’72 in cui vengono torturati e uccisi 11 atleti israeliani, alcuni evirati (che senso aveva anche evirarli signor Arafat?)? O i 21 bambini assassinati alla scuola Ma’alot il 15 Maggio 1974. O il dirottamento dell’autobus sull’autostrada Haifa-Tel Aviv, con il massacro di 21 israeliani. E tra i tanti episodi ci sono anche quelli che riguardano direttamente l’Italia. Il dirottamento della nave Achille Lauro in cui perde la vita l’ebreo-americano, Leon Klinghofer buttato in mare con la sua sedia a rotelle. L’assalto con bombe a mani e kalashnikov all’aereoporto “Leonardo da Vinci” di Roma, nell’85, che provoca tredici morti e settantasette feriti. E l’attentato del 1982, alla sinagoga romana, quando viene ucciso Stefano Taché, un bimbo di appena due anni. Ma sì, intitoliamogli una strada, una piazza, un palazzo ad un criminale del genere. E perché no una montagna?

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