La candela spenta: Amnesty International e il pregiudizio contro Israele

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Niram Ferretti
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La candela spenta: Amnesty International e il pregiudizio contro Israele

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Sono incistati gli automatismi ideologici, si radicano nel profondo e lì restano, continuando ad alimentarsi della loro materia preferita, la sostituzione della realtà con una sua immagine alterata o completamente menzognera. Prendiamo la ONG inglese Amnesty International. Nel 1961, l’avvocato britannico Peter Benenson, suo fondatore, scelse come simbolo per rappresentarla una candela accesa circondata da un pezzo di filo spinato. Duole dire che la luce di questa candela, in merito a Israele, si è spenta da tempo per lasciare al suo posto l’oscurità del pregiudizio e della distorsione. È recente il lungo post sulla pagina Facebook di Amnesty International, in cui viene conferita legittimità all’associazione anti-israeliana BDS poiché la ONG “ritiene che molti sostenitori del BDS siano difensori dei diritti umani”.

Il binomio “diritti umani” è, tra le truffe semantiche del nostro tempo, forse quella di maggior successo. Basta pronunciare le parole fatate ed ecco, come per incanto, si aprono le porte su regni di soprusi e di ingiustizie che i promotori dei “diritti umani” sanno riconoscere con precisa e infallibile, se non estremamente selettiva, sicurezza.
Come ha scritto Giovanni Quer nel suo opuscolo dedicato al BDS, esso si fonda sul presupposto che

“Israele sia uno stato ontologicamente criminale: sorto da un crimine commesso contro i palestinesi, sviluppatosi come stato razzista e perpetratore di crimini di guerra contro l’umanità”.

Il BDS è nulla più che una gigantesca frode, una organizzazione politica ben precisa vocata alla discriminazione e alla demonizzazione di Israele, illegale in 19 stati americani e ora anche in Francia. Tuttavia esso è perfettamente legittimo per Amnesty International, e non si vede come potrebbe essere diverso visto che entrambi, infondo, condividono la medesima piattaforma ideologica. In Making David into Goliath, Joshua Muravchik a proposito di quest’ultima ha evidenziato alcuni fatti:

“Amnesty International ha collaborato apertamente con la Campagna di Solidarietà Palestinese. Uno dei membri inglesi del suo staff si rivolse a un gruppo pro-palestinese dicendo che Israele appartiene ‘alla lista degli stupidi regimi dittatoriali…insieme a Burma, la Corea del Nord, l’Iran e il Sudan“, mentre il presidente del suo ramo finlandese scrisse nel suo blog che Israele è ‘un paese canaglia’. Nel 2013, Amnesty scelse Roger Waters del gruppo rock Pink Floyd come conduttore del suo annuale Ambassador of Conscience Award, malgrado il fatto (o forse in virtù di esso), che Waters fosse notoriamente un collaboratore del sito web Electronic Intifada e un instancabile promotore del boicottaggio di Israele…Amnesty esercita al meglio solo una tenue pretesa di neutralità. Per esempio, quando pubblicò un press release nel 2009 denunciando l’aiuto americano a Israele e chiedendo a ‘tutti i governi di imporre un embargo immediato e generale nei confronti di Israele e ai gruppi armati palestinesi’. L’inclusione dei ‘gruppi armati palestinesi’ fu una frase buttata lì in quanto il loro principale rifornitore è l’Iran. il quale non ha mai manifestato il minimo interesse nei confronti di ciò che dice Amnesty”.

Sempre sul post di Facebook, in linea con il press release del 2009, Amnesty International invita gli “Stati a prendere provvedimenti per impedire la vendita di merci provenienti da insediamenti illegali nei loro paesi”. E qui casca l’asino, essendo questa una delle richieste del BDS. Dopo la richiesta di embargo generale ora segue quella di boicottaggio delle merci.
A seguito di un articolo di Giulio Meotti apparso su Il Foglio il 13 giugno, dal titolo Umanitaristi Impazziti in cui il giornalista prende di mira anche la ONG inglese, il suo portavoce italiano, Riccardo Noury ha scritto una lettera al giornale nella quale sottolinea che,

“Se, per il diritto internazionale umanitario, gli insediamenti israeliani sono illegali, allora il vantaggio economico realizzato dalle imprese e dalle aziende che lì producono e commerciano va fermato. Amnesty International non sta invitando i consumatori ad aderire a campagne di boicottaggio. Chiede agli stati di rispettare i loro obblighi di diritto internazionale e vietare l’importazione di prodotti provenienti dagli insediamenti illegali”.

Non solo Noury fa riferimento a un fantomatico “diritto internazionale umanitario” ma di fatto, in ciò che scrive, si beffa del principio di non contraddizione, affermando che Amnesty International non inviterebbe i consumatori al boicottaggio ma chiedendo, al medesimo tempo, agli stati di vietare l’importazione dei prodotti provenienti dagli insediamenti. Contraddizione che non sfugge a Meotti nella sua risposta:

“Gentile Noury, prendiamo atto che Amnesty International riconosce di aver lanciato un boicottaggio delle merci israeliane. Sulla “illegalità” degli insediamenti israeliani c’è una discussione che va avanti dal 1967 e che non si risolve certo con un voto dell’Onu, organismo prezioso troppo spesso sequestrato da regimi corrotti e da dittature e che ha dimostrato di avere una terribile pregiudiziale antisraeliana. Ma anche se accettassimo il vostro legalismo sulla vicenda, sorprende che Amnesty International, una ONG che ha a cuore democrazia e diritti umani, prenda di mira soltanto uno stato con questa sua campagna di boicottaggio. L’unico stato ebraico del mondo e l’unica democrazia di tutto il medio oriente. In questo modo avete deciso di rafforzare coloro che conducono la campagna per la messa al bando di Israele, il cui obiettivo è cancellare quello stato dalla carta geografica e non certo promuovere la pace. In un momento in cui, dall’Egitto all’Iran, i paesi del medio oriente calpestano ogni diritto umano, Amnesty dovrebbe avere a cuore, e non boicottare, Israele. Questo avrebbe voluto il vostro fondatore, Peter Benenson”.

Per Amnesty International, come per il BDS a cui si associa, Israele è da punire. Non può essere che così quando si è stabilita a priori la colpevolezza, in nome, beninteso, dei “diritti umani” da difendere.

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