Sabato 3 novembre Il Fatto Quotidiano ha pubblicato sul suo sito un articolo a firma di Roberto Colella che riprende alcuni degli argomenti dell’antigiudaismo storico: le accuse di avvelenare l’acqua e di uccidere i bambini non ebrei.
Chissà se, quando i Filistei, come si è letto sabato 10 novembre nella parashà* di Toledot, otturarono i pozzi di Isacco da lui scavati, causando diverse dispute, la situazione tra i contendenti era simile a quella odierna?
Vogliamo analizzare questo articolo per far conoscere anche ai lettori del Fatto Quotidiano quella che è la realtà oggettiva, al di là di ogni forzatura politica.
Gli accordi di Oslo del 1993-1995 hanno previsto le quantità di acqua che Israele deve fornire agli arabi, e su queste gli organismi internazionali effettuano severe verifiche che non hanno mai dimostrato mancanze da parte israeliana.
Israele, in particolare, fornisce alla Striscia di Gaza 10 milioni di metri cubi di acqua per anno (quale altra nazione rifornisce il proprio nemico dichiarato di beni fondamentali?)
Buona parte dell’acqua che Israele immette nelle tubazioni che, da nord, portano l’acqua nelle città arabo-palestinesi, viene rubata dagli stessi arabi che se ne appropriano forando le tubazioni, ragione per cui a destino arriva una quantità ben inferiore a quella immessa.
Non c’è modo di convincere la dirigenza arabo-palestinese (cambia poco che sia quella di Fatah o di Hamas) ad utilizzare acqua di recupero, dopo averla trattata, per gli usi agricoli.
I pozzi vengono sfruttati dagli arabi-palestinesi ben oltre le quantità tecnicamente accettabili, col risultato che la falda acquifera si è abbassata al punto da venire inquinata dall’acqua salmastra del vicino mare Mediterraneo.
I tecnici non riescono a costruire nuovi acquedotti perché, per motivi strettamente politici, i percorsi, già difficili da individuare a causa della grande densità della popolazione di Gaza, non vengono poi messi a disposizione dalla dirigenza politica. (Attualmente, infatti, per migliorare la situazione degli approvvigionamenti idrici, sono stati stanziati aiuti per 60 milioni di dollari per la sola Striscia di Gaza, ma spendere tale cifra a beneficio della sola popolazione è appunto molto complicato per le assurde imposizioni della dirigenza di Hamas).
Ma cosa leggiamo sul Fatto Quotidiano a fronte di questa realtà? Leggiamo che Israele sarebbe responsabile di “Water grabbing, ovvero di accaparramento dell’acqua”. Il furto d’acqua ai danni degli arabi-palestinesi si associa al furto di terra, entrambi fanno parte dell’apparato accusatorio nei confronti di Israele, in cui, naturalmente, i palestinesi-arabi sarebbero le vittime e gli israeliani i carnefici. Roberto Colella da bravo amanuense di testi creati ad arte nei laboratori di Mosca dal 1964 in poi, provvede a porre le sue note a margine che in nulla si discostano dall’abituale leggenda nera. Così non può mancare il riferimento al “bombardamento di infrastrutture idriche e fognarie”. E’ una frase che fa effetto. Peccato che venga omesso che i bombardamenti sono la conseguenza dei lanci di razzi dalla Striscia di Gaza. Certo, quando vengono colpite le infrastrutture idriche, poi è necessario intervenire per ripararle ed è infatti ciò che accade. Colella non accusa direttamente Israele di avvelenare i pozzi, lo fa subdolamente, per via indiretta, scrive infatti di “un enorme aumento di malattie trasmesse dall’acqua, direttamente correlate all’acqua e alla contaminazione da acque reflue non trattate”. Ovviamente omette di dire che sono gli arabi palestinesi a rifiutarsi di trattare l’acqua reflua. Parole come “l’acqua contaminata è divenuta la principale causa della mortalità infantile”, in un contesto nel quale si accusa Israele di colpe non sue, conduce direttamente alla secolare accusa antigiudaica di uccidere i bambini non ebrei. Ma Colella non è sicuramente antisemita, ci mancherebbe, fa solo uso, del tutto inconsapevolmente, di topoi antisemiti.
Se vogliamo invece tornare alla realtà, chi si reca al parco Italia creato dal KKL, può vedere un bellissimo ruscello di acqua limpida che lo attraversa. Quest’acqua è una cloaca solo pochi chilometri a monte, quando esce dalle città arabe-palestinesi, ma, dopo che gli israeliani l’hanno purificata, è pulita e riutilizzabile.
Nulla avviene per caso, tutto va pensato e voluto, e, se si rifiuta a priori di sfruttare questo trattamento, non si può poi accusare il proprio nemico di colpe che non ha. Solo nascondendo questa realtà il solerte manovale Colella può scrivere che “Israele ha sfruttato l’85% dell’acqua di superficie palestinese incanalando questa risorsa verso gli insediamenti…”
La direzione del Fatto Quotidiano, già condannata recentemente al pagamento di una forte multa per aver diffuso notizie false, dovrebbe imparare che le questioni tecniche vanno affrontate con i ragionamenti degli specialisti (ingegneri, in questo caso), e non con la propaganda propugnata quotidianamente da B’tselem, “un’organizzazione israeliana che lavora con lo scopo di tutelare i diritti della popolazione araba”, in realtà una ONG di estrema sinistra finanziata con capitali stranieri che da anni ha l’unico obiettivo di presentare Israele come stato criminale.
Le ultime parole dell’articolo sono un capolavoro di infamia che avrebbe deliziato Alfred Rosenberg, “La mortalità infantile causata dall’acqua contaminata pone un freno alla stessa crescita demografica del popolo palestinese”, stabilendo di fatto che gli israeliani ucciderebbero i bambini palestinesi attraverso la contaminazione dell’acqua e in questo modo diminuirebbero l’incremento della popolazione (non servono parole, basta la realtà ben nota a tutti per smentire tale affermazione). L’incremento demografico arabo-palestinese sarebbe per Colella “l’arma più temuta dagli israeliani”. Niente di più falso. La crescita demografica araba ed ebraica è, oggi, sostanzialmente identica, ed Israele non ha oggi più nulla da temere dalla demografia, al netto delle fantasie antisemite dell’articolista.
*La parashà è il brano della Torah che viene letto settimanalmente in sinagoga, ogni sabato se ne legge uno nuovo seguendo l’ordine dei libri del Pentateuco