Politica e magistratura: due poteri spesso in contrasto. Anche in Israele

Il grande rischio della democrazia contemporanea, in Israele come in Italia e altrove, è l’invasione di campo della magistratura nel campo della politica

Ugo Volli
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Politica e magistratura: due poteri spesso in contrasto. Anche in Israele

Il grande rischio della democrazia contemporanea, in Israele come in Italia e altrove, è l’invasione di campo della magistratura nel campo della politica

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Ugo Volli
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Il più importante problema di ogni teoria politica è quale sia il modo migliore di governare uno stato. Ci sono state in passato varie soluzioni, dal diritto divino dei re, rivendicato nella tradizione assolutistica europea anche sulla base di una certa interpretazione dei testi biblici, al governo dei filosofi (cioè di coloro che conoscono la verità) proposto da Platone, che sta in fondo alla base anche delle pretese delle dittature totalitarie come quella comunista, all’oligarchia che piaceva ad Aristotele. La modernità occidentale nasce sull’ipotesi che “contare le teste sia meglio che tagliarle” e cioè che, per evitare la guerra civile e la rivoluzione che incombono sempre sui sistemi politici, la maggioranza debba aver diritto compiere le scelte di governo, nel rispetto dei diritti fondamentali della minoranza. Questo orientamento presuppone che non vi sia un sapere scientifico che possa decidere queste scelte in maniera assoluta, ma che esse siano per principio controverse, dipendendo da principi etici e interessi, i quali sono diversi fra i cittadini e in linea di massima legittimi (salvo i casi estremi che minacciano il diritto alla vita e alla libertà degli altri).

Vale la pena di ricordare ancora adesso queste cose, perché oggi questo principio politico fondamentale della democrazia liberale non è più indiscusso nelle società occidentali, ma insidiosamente soggetto alla concorrenza di un altro principio, quello della prevalenza della “giustizia” astrattamente intesa, patrimonio di un gruppo sociale di esperti, i giudici, che l’hanno acquisito seguendo un certo curriculum di studi (in cui spesso essi stessi hanno voce decisiva) e poi un concorso (per lo più amministrato da loro stessi), o una nomina che spesso ha aspetti di cooptazione. Insomma una casta di sapienti che sia autoperpetua, in fondo non diversamente dalle élites di partito, che per principio non risponde a nessun altro. Nata per applicare delle leggi stabilite dal “popolo”, cui “appartiene la sovranità”, “nei limiti e nelle forme delle leggi” (come in sostanza dice la nostra costituzione), gradualmente la magistratura ha esteso la sua influenza al di là di questa applicazione, per esempio in diritto internazionale dove non vi sono leggi, con la Corte Penale Internazionale; o hanno applicato “creativamente” le leggi esistenti fino a pretendere di essere l’ultima istanza di decisione, che può dare ordini al Parlamento e giudicare le stesse scelte politiche qualificandole, se crede, come reati.

E’ quel che è accaduto in Israele, non solo contro Netanyahu, ma anche con l’imposizione di norme (per esempio molto recentemente sull’estensione della maternità surrogata a singoli e coppie omosessuali). Ancora di recente, il fatto che la maggioranza avesse concordato con un esponente della comunità etiope l’istituzione di una commissione di inchiesta sugli abusi della polizia contro la stessa comunità, che nei mesi scorsi hanno fatto notizia, è stato pubblicamente qualificato dal procuratore generale Mandelblit come possibile reato di corruzione; del resto i reati di corruzione imputati a Netanyahu in almeno due casi su tre non solo non sono di fatto andati oltre a dei colloqui preliminari, ma riguardavano non un contenuto economico bensì la possibilità che certi mezzi di comunicazione diminuissero la loro opposizione al governo se fossero state adottate certe politiche. Tutto ciò fa parte del cuore della politica intesa come governo della maggioranza, cioè della ricerca del consenso attraverso compromessi fra i vari orientamenti sulle scelte di governo.

Lo stesso è accaduto in Italia con le inchieste su Salvini, accusato molto creativamente di “sequestro di persona” per aver ritardato l’ingresso di immigranti irregolari, secondo un chiaro programma politico approvato allora dal Parlamento; o per le numerose scelte della corte costituzionale in materia elettorale. Qualcosa di analogo è avvenuto anche in molti altri paesi (le pronunce della corte suprema inglese sulla Brexit, le sentenze di giudici locali contro le politiche sull’immigrazione di Trump, il suo stesso processo di impeachement). Il leader dell’opposizione olandese Wilders è stato imputato, su pressione dei suoi avversari politici al governo, per aver detto in un comizio che si impegnava a cercare di fare entrare meno immigranti dal Marocco.

Insomma, l’affievolirsi dei confini fra i classici tre poteri dello stato, in particolare l’invasione di campo della giustizia sul potere legislativo e quello esecutivo, sono un dato generale del panorama politico occidentale. Questa situazione ha conseguenze estremamente negative sia per la politica che per la giustizia. La magistratura, pretendendo di decidere che cosa è giusto e che cosa è reato su temi estremamente controversi come l’immigrazione o i diritti delle coppie omosessuale, o legiferando contro il Parlamento in materia elettorale, inevitabilmente si politicizza e diventa controversa, non è più vista come un potere super partes, ma come una parte fra le altre (per lo più collocata sulla sinistra dello schieramento politico), che persegue un suo programma di potere, magari anche, come accade spesso in Italia, con carriere che iniziano in magistratura e continuano in Parlamento o alla testa di comuni importanti.

La politica cade spesso nella tentazione di usare la sponda della magistratura politicizzata per far prevalere le proprie posizioni contro i risultati elettorali: è successo spesso in Italia contro la Dc, Berlusconi, Salvini. In Israele assistiamo proprio in questo momento al tentativo di rovesciare un risultato elettorale chiaro a favore di Netanyahu, qualificando la sua incriminazione (che non è una condanna e neppure vis somiglia, non essendo stata sottoposta ad alcun giudizio legale indipendente dall’accusa) come impedimento alla sua designazione come candidato primo ministro. E’ un gioco pericolosissimo, perché incide pesantemente sulla fiducia che sta alla base della democrazia liberale, e cioè la sicurezza che la decisione su chi governerà il paese e dunque sulle politiche che saranno adottate dipende dal voto e non da altri poteri.

Uno stato in cui la guida delle politiche spetti di fatto a una magistratura non eletta non è più una democrazia, ma assomiglia molto ai totalitarismi del Novecento. Che forze politiche le quali si autodefiniscono “progressiste” lavorino in questa direzione solo per il vantaggio momentaneo di rovesciare l’orientamento contrario dell’opinione pubblica, è un pericolo grave e un segno della loro incapacità di cogliere le condizioni di fondo della democrazia, in particolare il riconoscimento dell’avversario politico come un soggetto legittimato a governare e non come un nemico da eliminare, come si diceva ai tempi di Stalin, “per via amministrativa” (o giudiziaria, si direbbe oggi).

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