La questione della “bomba sporca” e la strategia jihadista in Europa

Giancarlo Elia Valori
Giancarlo Elia Valori
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Terrorismo

La questione della “bomba sporca” e la strategia jihadista in Europa

centrale nucleare belga

Il 30 Novembre 2015 la polizia belga ha scoperto un filmato riguardante i movimenti di un ricercatore nucleare belga e della sua famiglia che operava a Dohel-1, una delle sette aree di produzione nucleare, energetica e non, presenti in quel Paese, quattro nell’area di Dohel e tre in quella di Tihange. Il lungo film di tutti i movimenti dell’esperto nucleare è stato ritrovato nell’abitazione, ad Auvelais, di una figura legata alla rete del califfato di Al Baghdadi. Ai jihadisti interessava non tanto l’impianto nucleare come tale, ma la possibilità di utilizzare i radioisotopi, prodotti capaci di indurre avvelenamenti, malattie, disturbi vari temporanei o permanenti in quelli che vengano a contatto per un certo tempo con essi.

I radioisotopi, detti anche radionuclidi, sono dei nuclei instabili che decadono emettendo energia sotto forma di radiazioni; gli effetti possono essere poco o molto rilevanti, lo abbiamo detto, a seconda della dose di radiazioni ricevuta e/o del tipo di emissioni assorbite. Le radiazioni α portano con sé due cariche positive, e possono essere arrestate da una sottile lamina di alluminio, ionizzano fortemente i gas (e quindi l’aria) ma, se prodotte da una sorgente interna al corpo umano (acqua, cibi inquinati) possono produrre gravissimi danni.
Le radiazioni β hanno una sola carica, negativa, sono più penetranti delle particelle α ma ionizzano meno i gas.
Hanno un potere di penetrazione maggiore nel corpo umano delle α, ma anche queste emissioni possono divenire pericolose se emesse da una fonte interna al nostro corpo. Le radiazioni γ, invece, non hanno carica elettrica ma hanno una natura ondulatoria, come le onde elettriche. Quest’ultime hanno un potere penetrante nel corpo umano molto elevato; e posono attraversare rilevanti spessori di piombo e di altri metalli. Sono cento volte più penetranti delle emissioni β e sono a tutti gli effetti delle onde elettromagnetiche. Sono molto usati, tutti i radioisotopi, in medicina, in biologia, in farmacologia (i “radiofarmaci”) in archeologia e nella paleontologia.
Per non parlare poi delle applicazioni industriali: i laser che utilizzano le emissioni di radioisotopi sono ormai fondamentali nelle telecomunicazioni, attraverso la tecnologia delle “fibre ottiche”. Anche i comuni lettori di CD usano questi laser, che sono utili anche per il taglio di alcune lamiere nell’industria manifatturiera.

I jihadisti di stanza in Belgio volevano, con ogni probabilità, rapire quel tecnico nucleare o uno dei suoi familiari, per costringerlo a costruire una o più “bombe sporche”. Qui il problema, da tecnologico diviene strategico e politico. Occorre un team di esperti per costruire una dirty bomb, ma non si può escludere che un singolo “lupo solitario” sia capace di costruirla da solo, con un po’ di materiali di recupero e utilizzando il normale esplosivo fatto in casa che caratterizza ormai gran parte delle esplosioni avvenute fin qui in Europa da parte del jihad della spada. Basta il salnitro, lo zucchero, o la normale polvere da sparo, che si può agevolmente produrre in casa. Il jihad non vuole conquistare il nostro territorio, è bene chiarirlo, vuole invece sottometterlo completamente e soprattutto sul piano politico-culturale. Una bomba “sporca” vale, per i jihadisti, quanto un attentato cyber o una manifestazione contro la minigonna o per il cibo halal nelle scuole pubbliche. L’importante è l’intimidazione, poi arriva l’egemonia, infine si passa al dominio. Ovvero, i militanti jihadisti vogliono rendere la loro lotta del tutto funzionale, sul piano geopolitico, economico, culturale e demografico agli interessi primari della umma, la comunità globale dell’Islam.

Il fine strategico è la sottomissione culturale e economica all’Islam dei nostri territori, magari con qualche conversione di massa. La paura, il terrore, la dissociazione sociale indotte dagli atti terroristici condotti dagli uomini ( e dalle donne) del Daesh/Isis sono finalizzati a indebolire la reazione degli “infedeli”.
Gli attacchi servono anche a aumentare i costi delle nostre difese, fino a renderle insostenibili sul piano economico, infine a bloccare la società europea e a congelarla fino all’arrivo della definitiva “sottomissione”, per usare il titolo di un intelligente e fortunato romanzo di Houllebecq. Si tratta quindi di una guerriglia di lunga durata, con forti elementi di guerra tradizionale mischiata ad una vera e propria psywar, “guerra psicologica”. Tali azioni riguardano la gestione sia della parte buona, il good cop, dell’integrazione fino ad oltre i limiti consentiti dal nostro assetto sociale, il che implica una sottomissione culturale e psichica-mitica; sia la parte dura, il bad cop, la violenza efferata delle recenti stragi di Parigi e Bruxelles.
Un meccanismo “se….allora” si inserisce quindi nella psiche delle vittime, noi, ovvero se staremo buoni e ci adatteremo senza fiatare loro non ci faranno più male.

Errore: se staremo buoni saremo sottomessi con ancora maggiore ferocia.
Inutile spiegare queste cose ai politicanti attuali in Italia e altrove in Europa, sono solo piazzisti in cerca di capitali esteri, magari provenienti da quei paesi che finanziano da sempre il jihad. Ci sono, in questa psywar che utilizza tutti gli elementi delle nostre tecniche di guerra non-ortodossa, anche degli importanti elementi socio-economici. Inutile, ancora, spiegare queste tecniche ai suddetti piazzisti, che purtroppo hanno inquinato anche i servizi di intelligence. In primo luogo, vi è il progetto, già esplicitato da Osama Bin Laden, di colpire l’Occidente, sostenitore inevitabile, per motivi economici e energetici, dei regimi “apostati” dell’Islam e dello Stato Ebraico, con una guerra che costa poco a chi la agisce e moltissimo, il jihad ma tantissimo, troppo, a chi deve difendersene. Osama Bin Laden e la sua Al Qaeda sono costate, a fronte dei relativamente scarsi fondi necessari per gli attacchi dell’11 Settembre 2001, oltre tre miliardi di Usd in quindici anni, compresi i costi delle guerre, delle nuove norme di sicurezza e di parte delle operazioni coperte necessarie al suo ritrovamento e uccisione. Per non parlare dei costi ancora elevati per il mantenimento di circa 150.000 militari e di un quarto in più del normale budget militare USA.

Il jihad iniziato da Bin Laden, un “figlio di papà” radicalizzatosi all’università, in Arabia Saudita, per il contatto con un docente legato alla proibitissima Fratellanza Musulmana, è una guerra asimmetrica dei poveri contro noi ormai sedicenti “ricchi”. I jihadisti sono allora utilizzati come proxy warriors dai Paesi musulmani ricchi, per depauperare progressivamente l’Occidente, renderlo poi adatto agli investimenti diversificati dell’area sunnita dell’OPEC e a prezzi di realizzo, per creare infine una dipendenza politica e non solo economica e energetica dal petrolio e dal gas mediorientale. Gli attentati terroristici di Parigi e di Bruxelles, senza dimenticare il caso, ormai purtroppo trascurato, degli stupri di massa a Colonia, sono l’inizio di una nuova fase di questa guerra non-ortodossa dell’Islam in Europa e in altri continenti.

Prima del califfato di Al Baghdadi, che ha realizzato l’entità territoriale necessaria, per mitologia politica e come base militare, al jihad globale, una figura come Mohammed Badie, il già capo della Fratellanza Musulmana in Egitto e successivamente leader della Ikhwan internazionale, aveva esplicitamente dichiarato che “non c’è bisogno del jihad della spada in Europa, la conquisteremo solo con la demografia”. Il passaggio dal nuovo al vecchio jihad, maturato con la costituzione del califfato del Daesh-Isis, ha già modificato questo progetto strategico islamista nei confronti dell’Europa. Ed è proprio questo il motivo per cui occorre stare molto attenti alle “bombe sporche” radiologiche, che raggiungeranno sicuramente il loro effetto politico (che è quello che conta) qualunque sia il loro effettivo potenziale di irraggiamento da nucleotidi. La paura è un meccanismo che aumenta anche con dosi omeopatiche, ormai, di violenza. E’ difficile stimare quanti siano oggi, nel mondo, i siti dove si producono e conservano dei radionuclidi, ma le migliori statistiche oggi a disposizione parlano di oltre 70.000 sistemi di stoccaggio posti in almeno 13.000 costruzioni.

Il Belgio è, e questo forse ci spiega già l’efferatezza degli attacchi e la vastità delle rete jihadista finora scoperta, è uno dei principali produttori al mondo di radionuclidi e vi è almeno un ricercatore di origini e di fede islamica operante in questa struttura. Lo vedremo tra poco.
Si tratta del complesso nucleare denominato SK-CEN, una organizzazione per la ricerca nucleare che si trova vicino al canale Herenthals, a 53 miglia da Bruxelles. Dal 2004 non riceve più i periodici invii di materiale radioattivo da parte degli USA, che avevano segnalato, in quell’anno, la scarsa struttura di difesa del sistema belga in funzione di un ipotetico attacco di Al Qaeda. Senza contare, qui, che i due finti giornalisti che uccisero il capo afghano antitalibano Ahmed Shah Massud due giorni prima dell’11 Settembre provenivano proprio da Molenbeek, il quartiere che ha ospitato e ancora in parte ospita i jihadisti del califfato che hanno compiuto le stragi di Parigi e di Bruxelles.

C’erano state segnalazioni l’anno prima, nel 2003, di un tentativo da parte di una star del calcio belga, Nizar Trabelsi, di porre una bomba nell’area militare di Kleine Brogel, a 18 miglia dal già citato centro di ricerca nucleare, una base che ospita venti armi nucleari tattiche Usa correlate ad uno squadrone di F-16.
Le strutture di sicurezza della base furono poi disattivate, nel 2010, perfino da un gruppo di attivisti per la pace, che scorrazzarono nella struttura militare per oltre due ore, senza trovare resistenza.
Solo nel 2014, e dopo le ristrutturazioni compiute, su richiesta Usa, dal governo belga, la IAEA ha confermato che la rete di sicurezza a SK-CEN e nella vicina base militare sono ormai efficaci e robuste.
Le centrali nucleari belghe forniscono, è bene notarlo, oltre la metà dell’energia elettrica di quel Paese, si vuole forse, quindi, con una serie di azioni terroristiche, costringere il Belgio a rifornirsi solo di petrolio o di gas dal Medio Oriente? In Italia, la disastrosa uscita dal nucleare civile è avvenuta con un riccamente finanziato referendum, nel giugno 2011, dopo quello del 1987, ugualmente molto “ricco”, posto furbescamente poco dopo il disastro della centrale di Chernobil. Nessuno meglio dei popoli che non sono strategicamente clausewitziani sa usare meglio la “guerra psicologica” degli islamici. Essi non credono che la guerra abbia regole precise, kantiane, ma ritengono che lo scontro bellico sia sempre l’essenza della politica, non la sua “polarizzazione agli estremi”.

Non ci sarà forse bisogno quindi di atti terroristici in Italia, in questo settore, gli effetti di un attacco del jihad gli abbiamo già simulati e poi realizzati da soli. Le centrali belghe, peraltro, hanno recentemente subito una serie di incidenti che hanno messo in pericolo la città di Anversa, vicina geograficamente alla SK-CEN, e la Germania ha ripetutamente poste in discussione le reti di sicurezza tecnica e strategica del sistema nucleare belga. Fra l’altro, lavora a Dohel-1 Ilyass Boughalab, un tecnico di origini marocchine legato alla vecchia rete informatica ma anche operativa, ed oggi silente, denominata Sharia4Belgium. A livello globale, oggi i componenti (e non i prodotti finiti dei radioisotopi, di cui abbiamo già parlato) si trovano in circa 3500 siti dislocati in 110 Paesi.

In Iraq il califfato di Al Baghdadi ha già raggiunto i siti nucleari del vecchio regime di Saddam Hussein, e dovrebbe già avere in possesso una quantità di materiale radiologico tale da poter costruire una bomba “sporca” che potrebbe infettare, e quindi rendere inabitabile (è questo l’obiettivo tattico) una piccola città.
Peraltro, i Paesi della IAEA che hanno aderito alla rete di sicurezza internazionale per lo stoccaggio e l’uso dei materiali radiologici sono solo 23, il 14% del totale dei 168 membri IAEA.
Sul piano statistico, vi sono stati nel 2013 e nell’anno successivo almeno 325 incidenti radionucleari ufficialmente riportati nelle banche-dati della IAEA, con forti perdite di materiale definito a vario titolo radioattivo. L’85% di tali incidenti riguardava materiale radioattivo non-nucleare, quindi nucleotidi.
Gli incidenti non riportati dovrebbero poi essere, secondo le stime più affidabili, oltre 753 nel biennio già sopra utilizzato come base statistica. L’Uranio ad Alto Arricchimento (HEU) è invece conservato in siti presenti in meno di 25 paesi, mentre le sostanze radiologiche sono, lo abbiamo visto, molto più diffuse.
Le “bombe sporche”, peraltro, fanno certo meno danni di quelle nucleari vere e proprie, ma possono costare, per la “pulitura” successiva dell’area e per le spese di spostamento e protezione della popolazione, una quantità colossale di denaro. E’ proprio quello che occorre, secondo la regola della guerra economica asimmetrica iniziata da Bin Laden e oggi proseguita dal califfato di Al Baghdadi. Le hanno chiamate, le “bombe sporche” weapons of mass disruption, non destruction. Per questo sono atte a raggiungere simultaneamente due scopi: la frantumazione psicopolitica del nemico, ovvero noi, nonché la crescita dei costi per difendersi dal jihad, una spesa che potrebbe far arrivare qualche governo europeo (i già citati piazzisti) perfino alla resa strategica o comunque politica.
Per non parlare poi dell’interdizione di area che potrebbe essere generata da un RDD, una “bomba sporca”, per agire successivamente indisturbati, con il terrorismo tradizionale, in aree vicine a quella colpita dalla dirty bomb.
Tecnicamente, i radionuclidi più facilmente disponibili e utilizzati, tra i 16 teoricamente disponibili, sono il Cobalto-60, con una emivita di 5,3 anni, che si mostra come metallo duro. Serve per le terapie anticancro.
Poi vi è il Cesio-137, che appare come sale in polvere, ha una emivita di 30,1 anni e si usa per le trasfusioni di sangue in specifiche terapie. L’Iridio-192 ha la forma di un metallo e serve, ancora, per le radiografie.
L’Americio-124 e il Berillio hanno infine una emivita di 432,2 anni, mostrano la consistenza di un ossido di metallo e servono soprattutto per l’analisi stratigrafica, in geologia e in archeologia.
Sul totale delle nazioni che hanno aderito alle regole della IAEA per i radionuclidi, solo 19 hanno una strategia specifica per controllare o riprendere il materiale illegalmente estorto, 8 stanno elaborando una procedura per notificare ai paesi confinanti l’eventuale uscita illegale di materiale radiologico, le altre stanno studiano nuovi sistemi, più sicuri, di stoccaggio e di controllo.

Il Codice di Condotta attualmente in vigore per tutti i Paesi che hanno aderito al particolare sistema IAEA per i radionuclidi è inevitabilmente vago e pieno di “buchi” sia procedurali che riguardanti le sanzioni.
Peraltro solo 130 dei Paesi IAEA peraltro hanno accettato il Code of Conduct. I furti di materiale attivo radiologicamente sono stati numerosi, finora, a parte quelli messi a punto (due, per quel che se ne sa) dal c.d. Califfato sirio-iraqeno. Nel 1993 la mafia russa ha posto dei pezzettini di materiale radiologico nell’ufficio di un uomo d’affari di Mosca, facendolo morire in pochi minuti. Nel 1995 i ribelli ceceni jihadisti seppellirono un container contenente quote di Cesio-137 nel Parco Ismailovsky di Mosca. I terroristi fecero peraltro sapere alle forze dell’ordine dove si trovava prima che facesse troppo danno. Nel 1998 19 tubi contenenti Cesio-137 sono stati derubati da un ospedale di Greensboro, in North Carolina. Nello stesso anno, i servizi segreti del governo filorusso della Cecenia scoprirono un container posto sotto una ferrovia, già connesso ad un innesco esplosivo.
Altri ve ne sono stati, spesso nemmeno riportati dalle “fonti aperte”.

Ma quanti sono, allora, per logica e utile deduzione, i ceceni ospitati come foreign fighters dal Daesh/Isis? Dai 200 ai 700, una cifra superata solo dai militanti provenienti dall’Afghanistan, dalla Bosnia e dalla Somalia.
Facciamo un esempio: una dirty bomb che sia carica con una media quantità di Cesio-137, per esemplificare danni e costi, potrebbe inquinare, se possiamo usare questo verbo, 250 metri quadri con un costo di decontaminazione/ripopolazione sicuro e minimo di oltre 81 miliardi di Euro, a seconda naturalmente delle infrastrutture presenti nell’area di detonazione del RDD. Cosa fare, allora, per prevenire gli attacchi delle “bombe sporche”? Intanto, molti sensori specifici, da porre con estrema attenzione, e da monitorare, nelle costruzioni “sensibili” e nelle aree densamente abitate, sensori da monitorare spesso e con estrema attenzione.
Occorrerebbe che, come già accaduto negli USA, una commissione governativa selezionasse una serie di punti critici per gli attacchi RDD, per poi passare al controllo computerizzato e costante dei siti più rilevanti per un attacco del jihad. Questa ipotesi di lavoro vale anche per i parchi, le aree centrali delle città, alcune scuole e università, ma questo lo dovrà decidere la commissione preposta, quando ci sarà. Si tratta poi di migliorare di molto lo stoccaggio e la distruzione, dopo l’uso, di tali materiali, da ospedali, centri di ricerca o altro, una prassi da certificare e da affidare alle Forze dell’Ordine, non ai netturbini. Ma quanti sono i siti di produzione o stoccaggio dei radionuclidi in Italia?

Una infinità, basterebbe enumerare, ed è quasi impossibile, tutti gli ospedali, i centri medici radiologici privati, le strutture di ricerca biologica, archeologica, fisica, chimica e paleontologica.
I rifiuti radioattivi, in ogni caso, quelli direttamente provenienti dalle centrali nucleari, hanno la dimensione di 30.000 metri quadri, per una quantità prodotta in 30 anni. Meno di un quarto della Francia e meno di un sesto della Germania. I rifiuti speciali, tra cui quelli radionuclidici, sono prodotti annualmente, nel nostro Paese, per circa 140.000 tonnellate, mentre i rifiuti pericolosi (tra cui ci sono alcuni specifici radionuclidi) hanno la dimensione di 9 tonnellate/anno. La gestione di tali rifiuti radioattivi/radiologici, soprattutto di origine ospedaliera, è regolata oggi in Italia dal D.lgs.230/95 art.4. La normativa regola la gestione, ma pone soprattutto criteri stringenti per la notifiche, le prescrizioni, le regolamentazioni, anche nel caso di trasferimento all’estero di tali rifiuti. Perfino con la regola del silenzio-assenso. Pericolosissima.
Basta allora la registrazione delle imprese di trasporto di radionuclidi presso il Ministero? Crediamo di no, soprattutto perché le sparizioni avvengono proprio durante i trasferimenti e da parte di personale che può non essere registrato presso l’Autorità competente. La direttiva EU 2006/EURATOM, recepita l’anno successivo in Italia, all’art.17, prevede autonome fattispecie delittuose per chi abbandoni o faccia traffico illecito di materiali radioattivi/radiologici oltre all’obbligatorietà della confisca del materiale sequestrato. Se ci si riesce. Meglio, ma non abbastanza, perché non vi sono indicazioni, a parte le sanzioni penali, che proteggano specificamente da un RDD, di cui non si saprà mai da dove viene il radionuclide utilizzato nello scoppio. Anche qui, a parte una gestione rapida rapida delle informazioni in area EU e una attenta prevenzione di intelligence sulla radicalizzazione di elementi di comunità islamiche vicine ai siti di produzione o di stoccaggio di radionuclidi, è possibile fare poco. La probabilità dello scoppio di un RDD è statisticamente non misurabile.
Ma sarà bene pensarci in tempo.

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