La questione dei passaporti e la disonestà di Obama su Gerusalemme

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Mario Del MonteEditor
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Israele

La questione dei passaporti e la disonestà di Obama su Gerusalemme

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La Corte Suprema degli Stati Uniti ha bollato come incostituzionale la legge del Congresso che permetteva di scrivere “Israele” come nazione sui passaporti dei cittadini americani nati a Gerusalemme. La sentenza è una vittoria per l’amministrazione Obama che riafferma così la sua autorità nell’impostare la politica estera del paese ma, secondo molti esperti, rappresenta anche la fine della pretesa americana di svolgere il ruolo di mediatore di pace neutrale in Medio Oriente.

L’opinione dei giudici si è basata sul concetto per cui solo il Presidente ha il potere di riconoscere le indicazioni riguardanti la sovranità e la questione dei passaporti rientra in questa prerogativa presidenziale. Da Gerusalemme non sono ancora arrivate risposte ufficiali, il portavoce del Ministero degli Esteri Emmanuel Nacason si è limitato a commentare dicendo che Israele non interverrà su un tribunale degli Stati Uniti attraverso i media.

Con questa sentenza, nata dal caso di Menachem Zifotofsky, i passaporti dei cittadini americani nati a Gerusalemme riporteranno solo “Gerusalemme” come luogo di nascita e non “Israele”.

I funzionari dell’Autorità Nazionale Palestinese hanno ovviamente accolto con favore la decisione dei giudici americani. Il capo negoziatore Saeb Erekat ha dichiarato che si tratta di un messaggio diretto al governo israeliano che avalla la tesi dei palestinesi per cui Gerusalemme sarebbe un “Territorio Occupato”.

Secondo molti analisti di politica internazionale questa decisione è totalmente priva di logica: abitualmente tutti gli Stati accettano e riconoscono come capitale di un altro Stato quella città in cui risiedono il governo, il Parlamento e gli uffici delle più alte cariche statali. Questo non precluderebbe in nessun modo la possibilità di dividere Gerusalemme per permettere alla zona est di unirsi a un futuro Stato palestinese.

In realtà siamo di fronte a una situazione molto complicata, per quanto riguarda Gerusalemme gli Stati Uniti hanno sempre tenuto un atteggiamento molto ambiguo rifiutando di prendere una posizione netta. Per questo negli anni la città è sempre stata ritenuta ufficialmente “Contesa” e “soggetta ai risultati dei negoziati fra israeliani e palestinesi”. Sebbene questa posizione sia da una parte lodevole perché cerca di non interferire sui negoziati, ci sono modi decisamente migliori per realizzare lo stesso scopo senza negare la realtà.

Il Congresso e l’esecutivo si danno battaglia sull’argomento dal lontano 1995 quando un legge richiedeva al Presidente di spostare l’ambasciata americana da Tel-Aviv a Gerusalemme. Questa legge è ancora valida ma ogni sei mesi viene rimandata dal Presidente in carica.

Gerusalemme è stata sotto il dominio dell’Impero Ottomano fino al 1917 quando è passata nelle mani degli inglesi. Nel 1948, prima di andarsene, gli inglesi divisero la città lasciando agli ebrei la parte occidentale e ai giordani quella orientale. Nel 1967 però Israele riunificò la città durante la Guerra dei Sei Giorni. Negli ultimi anni i negoziati si sono sempre concentrati sul fatto che i quartieri orientali dovrebbero essere posti sotto la sovranità del futuro Stato palestinese diventandone la capitale. In ogni caso gli Stati Uniti non dovrebbero commettere l’errore di considerare controversa anche la zona occidentale della città perché le uniche persone che rifiutano la sovranità israeliana su tale zona sono coloro che rifiutano di concedere a Israele qualsiasi diritto di esistere. Perché non riconoscere almeno Gerusalemme ovest come capitale d’Israele? Una mossa del genere avrebbe scatenato le ire degli israeliani che considerano Gerusalemme come la capitale dell’ebraismo da più di tremila anni ma almeno avrebbe temporaneamente decretato una certa imparzialità degli Stati Uniti sulla questione e legato la politica estera statunitense alla realtà dei fatti senza pregiudicare l’esito dei negoziati.

Nel 2008 Obama aveva già dato dimostrazione di quanto considerasse spinosa la questione e di quanto la politica americana sia confusa su questo argomento. In meno di ventiquattro ore Obama dichiarò che “Gerusalemme è la capitale di Israele” per poi fare dietrofront rilasciando una dichiarazione equidistante dalle rivendicazioni israeliane e palestinesi.

La prossima volta che Obama visiterà Gerusalemme sarà difficile non provare tenerezza per lui: visitare la capitale di un paese cercando di far finta di non essere veramente lì sarà senza dubbio un’impresa ardua.

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