Kosovo: fucina di jihadisti

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David Spagnoletto
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Kosovo: fucina di jihadisti

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Alcuni episodi non destano la nostra curiosità non perché non siano importanti, ma per il luogo in cui accadono, che erroneamente consideriamo lontano. Capita spesso che si faccia una grande confusione fra i paesi ex jugoslavi o russi, come se fossero tutti uguali, come se i confini geografici non fossero la conseguenza di divisioni politiche, sociali e culturali, talvolta anche religiose. Come se la storia di un paese, se pur piccolo, potesse essere inglobata da un vicino più grande o da una dominazione che lontana nel tempo e nell’identità dei cittadini.

Come se l’importanza strategica di un paese fosse legata solo alla sua grandezza o alla sua fama.
Abbiamo aspettato un po’ prima di proporvi questo articolo, non volevamo che finisse nel tritacarne mediatico che per alcune settimane ha portato giornali, tv e siti web a raccontare le vicende dei jihadisti europei e il loro arruolamento nell’Isis.

Adesso, però, ci sembra il momento giusto, è arrivato il momento di (ri)accendere i riflettori su un paese che è diventato in poco tempo una vera e propria fucina di terroristi islamici: il Kosovo.
Il Kosovo è un territorio amministrato dall’ONU e ha dichiarato unilateralmente la propria indipendenza dalla Serbia il 17 febbraio 2008, scatenando un problema di status giuridico. Paese che confina con molti stati bagnati dal Mar Adriatico, quindi molto vicino all’Italia: Serbia a nord e a est, con il Montenegro a nord-ovest, l’Albania a sud-ovest e la Macedonia a sud.

Un fenomeno molto esteso in Kosovo è la “pulizia” del denaro di provenienza illecita, tanto da spingere l’Ue a creare una apposita unità operativa: il Financial intelligence center (Fic), guidato fino a al 2011 dal colonnello della Guardia di finanza Roberto Magni, che in un’intervista a L’Espresso ha puntato il dito contro le organizzazioni non governative che in Kosovo hanno un ruolo centrale e che “accanto alle attività caritatevoli e di aiuto alla popolazione, ce ne sono alcune che potrebbero non limitarsi alla ricostruzione delle moschee e alla distribuzione di aiuti umanitari ma essere sfruttate anche per veicolare una lettura più intransigente dell’Islam”.

Il Kosovo ha un problema strutturale, la sua è una cash based economy, un’economia basata quasi solamente sul denaro contante, che presta il fianco al riciclaggio e alle operazioni non limpide.

In più, essendo un’economia chiusa riceve dall’estero molti più soldi di quanti ne vengano reinseriti nel circuito finanziario internazionale. La conseguenza è un surplus di valuta che con regolarità deve essere prelevata fisicamente e rimessa in circolazione negli altri stati della zona euro, rendendo ancora più difficili i controlli, perché chi svolge attività illecite come compravendita di armi, droga o prostituzione lo fa con il denaro contante.

Non deve stupire poi se moltissimi jihadisti arrivati in Iraq e in Siria per combattere la loro presunta guerra santa provenissero o avessero fatto base in Kosovo e se nella trasmissione “Terra!”, fra il settembre e l’ottobre scorso, si è parlato di una possibile istituzione di un califfato islamico proprio in Kosovo.

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