Israele, da sempre in prima linea

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Niram Ferretti
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Editoriali

Israele, da sempre in prima linea

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Niram Ferretti

Mentre a Gerusalemme si cerca di inchiodare Benjamin Netanyahu a causa di sigari e di delicatessen alimentari di cui avrebbe goduto impunemente, ieri quattro soldati israeliani, tre ragazze e un ragazzo, tutti ventenni, sono stati assassinati da un ventottenne arabo residente a Gerusalemme Est, la stessa Gerusalemme Est che la Risoluzione 2334 votata a dicembre dall’ONU afferma essere “territorio palestinese occupato”.

La Risoluzione 2334, una pistola consegnata direttamente nelle mani dei nemici di Israele, è la legittimazione legalmente certificata per l’”irredentismo” palestinese nei confronti dell'”occupante” sionista.

L’assassino dei quattro ragazzi, tuttavia, sembra che fosse un simpatizzante dell’ISIS e non dunque un “partigiano” della “lotta contro l’invasore”. Ormai il vecchio paradigma messo in piedi dall’OLP con l’ausilio dell’Unione Sovietica e modellato sull’anticolonialismo fine anni ’60, per quanto ancora popolare, si confonde sempre di più con il terrorismo integralista di matrice islamica.
Si tratta infatti di una contaminazione totale di cui, sul territorio di Israele, Hamas rappresenta l’esempio più eclatante e che ha in Libano, con Hezbollah, il proprio consociato ideologico. E’ questo l’esempio del conglomerato omicida sunnita-scita costituito in nome della distruzione di Israele, obbiettivo fecondato da un antisionismo e da un antisemitismo radicali, le due facce della stessa medaglia.

Che Fadi-al-Qunbar, questo il nome del terrorista, fosse un simpatizzante dell’ISIS piuttosto che di qualche altra sigla del terrore islamico conta poco. Sono solo maschere che di volta in volta indossa il medesimo attore il quale, in Israele, gioca la sua partita mortale si può dire da prima del suo sorgere, da quando Amin al-Husseini negli anni ’30 si alleava con i Fratelli Musulmani e Adolf Hitler nella offensiva islamico-nazista contro l’immigrazione sionista. E’ il medesimo attore che gioca la sua partita fuori dal Medio Oriente, in Europa soprattutto, e che già da un po’ ha adottato la modalità palestinese di attacco, inaugurata in Israele nel 2015, l’uso dei camion da lanciare sulla folla, come è accaduto a Nizza e poi a Berlino.

L’obbiettivo dunque non è solo Israele ma è, come è del tutto evidente, l’Occidente in quanto tale, con i suoi valori, il suo stile di vita, le sue libertà. E’ quello che Benjamin Netanyahu va ripetendo da anni, quasi sempre inascoltato se non deriso.

Quando si capirà che Israele è sempre stato all’avanguardia di questa guerra che durerà ancora molto a lungo, quando si capirà che soltanto stando fermamente dalla parte dello Stato ebraico si potrà combatterla efficacemente in una unione programmatica, si sarà fatto un gigantesco passo avanti. Fino a che questo non accadrà e l’ONU macinerà documenti come la Risoluzione 2334 il cui perno è l'”occupazione” in Cisgiordania, si rimarrà nel medesimo pantano.

Per questo motivo è anche necessario, e questo è un discorso che riguarda soprattutto Israele nella sua specificità, che l’IDF abbia modo di riesaminare con grande attenzione i propri codici di ingaggio perché essi non diventino nel loro splendido rigore una camicia di forza morale soffocante.
Il caso di Elor Azaria, che ha diviso drammaticamente la società israeliana in innocentisti e colpevolisti, è la spia di un profondo disagio. Non si tratta di disinibire i freni dei soldati ma di consentire loro di affrontare un nemico subdolo e totalmente alieno da considerazioni etiche, nel modo più efficace possibile.

Il ricatto delle ONG di estrema sinistra come B’Tselem, di osservatori dei diritti umani completamente privi di credibilità come Amnesty International, sempre, nel caso di Israele dalla parte di questi diritti declinati a favore dei potenziali assassini, non può essere subito pagando il prezzo di cedimenti troppo alti alla determinazione risoluta di difendersi.

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