Israele, Hamas e la Guerra

Victor Scanderbeg Romano
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico
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Israele, Hamas e la Guerra

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Victor Scanderbeg Romano
Victor Scanderbeg RomanoAnalista Storico-Politico

Sulla Guerra

La guerra. Tutti ne parlano, quasi nessuno dispone degli strumenti per comprenderla. In particolare, sul concetto di proporzionalità del contrattacco di Israele hanno scritto davvero tutti, comprese persone che si occupano primariamente di gossip e di alzare palette nei consessi televisivi.

 Il diritto internazionale, in particolare la legge sulla guerra o jus in bello, stabilisce i principi di proporzionalità e distinzione. Tuttavia, il concetto di proporzionalità non implica necessariamente che la forza utilizzata in risposta a un attacco debba essere uguale o simile all’attacco subito. Piuttosto, la proporzionalità deve essere intesa in termini di adeguata e necessaria risposta militare per raggiungere un legittimo obiettivo militare, tenendo in considerazione la minaccia che si cerca di neutralizzare.

Nel caso di Israele, come per ogni stato sovrano, il diritto di autodifesa è sancito dall’articolo 51 della Carta delle Nazioni Unite. Quando un paese è attaccato, ha il diritto di difendersi e di intraprendere azioni militari per proteggere la propria popolazione e sovranità. La questione della proporzionalità è complessa e non si misura solo dal numero di vittime o dalla scala dell’attacco iniziale, ma anche dalla gravità della minaccia, dalla probabilità di futuri attacchi e dalla necessità di deterrenza.

 Nel caso specifico, Israele ha subito un’invasione su larga scala del suo territorio, che ha portato all’uccisione indiscriminata di oltre 1.200 civili. Il massacro è stato fine a sè stesso, perchè Hamas non aveva la forza di occupare in modo stabile parti del territorio israeliano. I civili ebrei sono stati sgozzati, giustiziati con armi da fuoco o sequestrati. Ripeto, nessun obiettivo militare, ma un semplice e insensato massacro di civili.

Al contrario, Israele mira a colpire obiettivi militare. Nel contesto del conflitto israelo-palestinese, la questione dei danni collaterali, inclusa la morte di civili durante le operazioni militari, è una delle più complesse e dolorose. Israele, come ogni stato, quando conduce operazioni militari, mira a obiettivi militari specifici per neutralizzare minacce alla sua sicurezza. Tuttavia, la morte di civili in tali operazioni è una tragica realtà, spesso dovuta alla vicinanza di obiettivi militari a zone densamente popolate.

Hamas, che è stato designato come organizzazione terroristica da Israele, dagli Stati Uniti, dall’UE e da altre nazioni, ha una storia documentata di utilizzo di scudi umani e di posizionamento di infrastrutture militari in aree civili, come ospedali e scuole. Questa tattica aumenta il rischio di vittime civili in caso di attacchi contro tali obiettivi. L’uso di scudi umani è considerato una violazione del diritto internazionale umanitario perché espone deliberatamente i civili al pericolo durante i conflitti armati.

Le forze di difesa israeliane prendono misure per minimizzare le vittime civili, come avvertimenti anticipati e l’uso di tecniche di bombardamento di precisione. Nonostante ciò, la realtà urbana densamente popolata di Gaza e la tattica di Hamas di mescolare le infrastrutture militari con quelle civili rendono estremamente difficile evitare danni collaterali.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, gli inglesi risposero ai bombardamenti V1 e V2 nazisti con massicci bombardamenti aerei su città tedesche come Dresda e Amburgo. Queste azioni, sebbene abbiano provocato un alto numero di vittime civili, furono giustificate dagli Alleati come necessarie per indebolire la macchina da guerra tedesca e accelerare la fine del conflitto. Analogamente, durante la Guerra del Vietnam, gli Stati Uniti impiegarono tattiche di bombardamento su larga scala, come l’Operazione Rolling Thunder, con l’obiettivo di ridurre la capacità militare del Nord Vietnam e dei Viet Cong, nonostante le significative perdite civili. E potrei continuare citando molti altri casi.

È poi importante sottolineare che la valutazione di un conflitto non può ridursi a un semplice conteggio delle vittime civili. La guerra è un fenomeno complesso, che deve essere analizzato considerando una molteplicità di fattori: le intenzioni degli attori coinvolti, gli obiettivi strategici, le norme del diritto internazionale, le dinamiche politiche interne ed esterne, e le conseguenze a lungo termine delle azioni militari.

Inoltre, la storia militare e la storiografia moderna riconoscono che la guerra è intrinsecamente caotica e imprevedibile, con molteplici variabili che influenzano le decisioni dei comandanti e dei politici. Le azioni intraprese durante un conflitto devono essere valutate nel contesto del tempo, con una comprensione delle informazioni disponibili ai decisori, delle percezioni di minaccia e delle norme internazionali vigenti.

Sulle Immagini Della Guerra

 La valutazione di un conflitto armato, pur tenendo conto dell’inevitabile e tragica perdita di vite umane, non può essere circoscritta esclusivamente all’impatto visivo e emotivo delle immagini di sofferenza, in particolare quelle di donne e bambini vittime di azioni militari. Queste immagini, per quanto strazianti, non forniscono un quadro completo delle complessità inerenti alla guerra, né possono fungere da unico metro di giudizio per la valutazione della legittimità o dell’efficacia delle operazioni militari.

La guerra, nella sua brutale realtà, comporta inevitabilmente danni collaterali e la morte di innocenti, aspetti che ogni analisi etica e giuridica deve considerare con la massima serietà. Tuttavia, la valutazione storiografica e strategica richiede un’analisi che vada oltre l’immediato impatto emotivo. È essenziale considerare il contesto più ampio: gli obiettivi strategici, le regole di ingaggio, le misure adottate per minimizzare le perdite civili, e la proporzionalità rispetto alla minaccia affrontata.

Inoltre, è fondamentale esaminare le intenzioni dei belligeranti, la distinzione tra combattenti e non combattenti, e l’aderenza ai principi del diritto umanitario internazionale. La presenza di vittime civili in un teatro di guerra solleva questioni di responsabilità e di rispetto delle norme internazionali, ma non può da sola determinare la legittimità di un’azione militare.

La storia militare è costellata di esempi in cui la percezione pubblica di un conflitto è stata fortemente influenzata dalle immagini di sofferenza civile. Tuttavia, gli storici e gli analisti hanno il dovere di mantenere un approccio equilibrato, considerando tutti gli aspetti del conflitto, inclusi quelli meno visibili e immediatamente emotivi, per fornire una valutazione olistica e informata. In questo modo, si può sperare di comprendere pienamente le dinamiche di guerra e di contribuire a una riflessione costruttiva sulla prevenzione dei conflitti futuri e sulla protezione dei civili in zone di guerra.

Spero di aver fatto un po’ di chiarezza sulle questioni principali della guerra scatenata da Hamas contro Israele il 7 ottobre. Comprendo benissimo il malessere provocato dalle immagini di persone tirate fuori dalle macerie degli edifici, corroborato dalla propaganda di Hamas e di numerosi media europei. Tuttavia, in una guerra così terrificante l’unico modo per non annegare nel dolore di video e foto strazianti è mantenere l’equilibrio intellettuale.

E pensare che la guerra è questo.

Fa schifo.

Ma a volte, quando non ci sono altri strumenti da utilizzare, è necessario combatterla.

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