Israele e la Federazione Russa

Giancarlo Elia Valori
Giancarlo Elia Valori
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Medio Oriente

Israele e la Federazione Russa

netanyahu putin

Molti sono i segnali che ci fanno pensare a una nuova correlazione strategica, in Medio Oriente, tra Mosca e Gerusalemme. In linea di massima, possiamo ipotizzare fin d’ora che lo Stato Ebraico stia già valutando l’allontanamento degli USA dal sistema mediorientale e che, quindi, Israele tenti una politica di “sostituzione” collegandosi alla Federazione Russa. Certo, i pessimi rapporti personali tra Barack Obama e Netanyahu hanno avuto il loro peso, ma stiamo osservando una vera e propria ridefinizione di tutti gli equilibri geopolitici regionali.

Ed hanno avuto peso anche le facilonerie USA ed EU sul JCPOA, il trattato sul nucleare civile-militare iraniano, giustamente criticate da Netanyahu e da tutto l’establishment israeliano. Sia Mosca, che ha già “vinto” la sua guerra in Siria che Gerusalemme, che ha tratto tutte le conseguenze geopolitiche dalle “primavere arabe” e dall’ambiguo e iniziale sostegno USA ai “ribelli” siriani anti-Assad, stanno ridisegnando quasi in solitudine la nuova carta del Grande Medio Oriente. Qualunque cosa accada in Siria a partire da oggi, il destino degli Stati Uniti è quello di una progressiva marginalizzazione nei quadranti sia sunniti che sciiti e di una sottoposizione delle sue operazioni ad un insieme di alleanze (con la Russia, con Israele, con i sauditi, con la Giordania) nelle quali gli americani non avranno più il peso che avevano fino a pochi anni fa.

I segnali di un “nuovo inizio” delle relazioni russo-israeliane sono molteplici, come dicevamo. Si pensi alla restituzione, da parte di Mosca, di un carrarmato israeliano M48 Patton, catturato dai siriani nella guerra in Libano del 1982 nei pressi di Sultan Yaakov durante una imboscata, dove morirono i tre carristi operanti nel tank. Il carro fu spedito da Hafez al Assad a Mosca, per essere studiato dai servizi tecnici sovietici e successivamente venne posto nel Museo dei Carri Armati di Kubinka. Non vi sono però notizie ufficiali sulla fine dei tre militari dell’IDF. E’ ovvio che Vladimir Putin ha informato preventivamente della sua decisione Bashar el Assad e nulla vieta che l’attuale dirigenza alawita siriana non decida, in futuro, di informare il governo israeliano sulla triste fine dei tre carristi. Militari russi e israeliani si sono poi stabilmente incontrati, durante tutte le operazioni di Mosca in Siria, per scambiare informazioni ed evitare sovrapposizioni operative. I russi hanno tollerato qualche sconfinamento, peraltro regolarmente segnalato, degli aerei di Gerusalemme sulle alture del Golan e nella Siria centrale, lo stato ebraico ha tollerato, essendone informato, qualche volo russo sul proprio territorio. E’ allora chiaro che la trattativa sottotraccia tra Russia e Israele si compone di tre filoni, che sono ovviamente interconnessi.

Gerusalemme vuole che la Federazione Russa faccia da mediatore credibile tra Israele e l’area palestinese, essendo Mosca affidabile per entrambe le parti. Inoltre, lo stato ebraico non vuole che vi sia alcun trasferimento di tecnologia militare, informazioni, logistica dalla Russia verso i suoi alleati in Siria: Hezbollah, le brigate iraniane della Forza Al Qods dei Pasdaran, lo stesso governo di Bashar el Assad. Né si può escludere che l’asse tra Mosca e Gerusalemme non possa portare, nei prossimi mesi o anni, ad un ridisegno dei poteri regionali nel quadrante mediorientale. Poteri oggi senza padre né madre, e la sostituzione delle grandi potenze compiuta da Iran e Arabia Saudita non potrà durare a lungo. Troppo piccoli, incapaci di correlazioni strategiche di vasto respiro.

E’ quindi il momento che il Medio Oriente si ancori ad una potenza globale, che sarà l’asse Russia-Cina. Con Israele che farà da contrappeso regionale. Non si deve poi dimenticare che Pechino ha già compiuto voli militari sul territorio siriano. La linea cinese del “non-intervento” non significa mancanza di reale conoscenza dei fatti o di potere di pressione e ingerenza.

La trattativa Mosca-Gerusalemme implica poi una garanzia russa per Israele riguardo ad eventuali operazioni militari dell’Iran, la marginalizzazione del “partito di Dio” dei libanesi sciiti, un nuovo governo di Assad che non si ponga l’obiettivo di distruggere l’”entità sionista” o, ancora, la divisione in tre parti della attuale Siria, con il conseguente ridimensionamento di tutte le sue fazioni interne. La linea di Washington e, in parte di alcuni decisori israeliani. Mosca però ritiene che tutta la Siria meridionale debba tornare sotto il regime di Bashar al Assad, mentre Israele, insieme agli USA, all’Arabia Saudita e alla Giordania, ritiene che un mini-stato nella Siria del Sud sia la chiave, per Assad e i suoi alleati iraniani, per invadere le alture del Golan.

Se però, sembra essere questa l’offerta di Vladimir Putin allo stato ebraico, Israele accetta la “grande Siria”, le forze russe rimarrebbero nell’area occidentale di quel Paese per garantire Gerusalemme contro ogni azione iraniana o del governo di Bashar al Assad. Per questo motivo, Mosca vuole far riaprire i rapporti politici tra il regime di Assad e Israele, per allontanare il governo baathista dalla linea geopolitica dell’Iran e degli sciiti libanesi. Che non è nemmeno nel suo interesse. Ecco, quindi, il motivo strategico del simbolico gesto della restituzione del tank israeliano.

Ma c’è di più, nel nuovo progetto russo in Medio Oriente e nella risposta israeliana al sorgere della nuova potenza di Mosca in Medio Oriente. Nella visita in Russia di Netanyahu del 21 Aprile scorso, per esempio, il premier israeliano e il Presidente russo hanno puntualizzato l’interesse di Mosca per lo sviluppo e lo sfruttamento del nuovo campo di gas naturale off-shore “Leviatano”, che sarà il vero “game changer” prossimo venturo in Medio Oriente. Se GazProm collaborerà allo sfruttamento e alla commercializzazione dell’area gaziera off-shore, tra Haifa e la Striscia di Gaza, allora sarà vitale, per la Federazione Russa, garantire insieme a Israele la sicurezza delle comunicazioni, soprattutto in riferimento alle possibili azioni di Hezbollah dal Libano o alle pressioni iraniane sul Golan. Questo nuovo sistema energetico cambierà infine i rapporti tra Israele e la Turchia, che sarà l’hub del gas estratto dal Leviatano, e farà entrare le imprese petrogaziere russe nel mercato mediorientale con l’esclusione, peraltro, di quelle USA, che operano in Turchia e in gran parte del mondo sunnita. Non bisogna poi dimenticare che sia l’Iran che il Qatar operano oggi soprattutto nel mercato del gas naturale, e il grande giacimento israeliano Leviathan potrebbe fare concorrenza a molti dei più fieri avversari islamici, sciiti o sunniti, dello Stato Ebraico.

Le tre visite in un anno di Netanyahu a Mosca sono quindi essenziali sia per la politica estera che per il futuro economico di Israele. Peraltro, Gerusalemme sa che l’amministrazione Obama ritiene che alcuni territori conquistati dallo Stato Ebraico siano stati annessi illegalmente; e anche questo potrebbe avvicinare, in futuro, Russia e Israele. Mosca deve mantenere la sua presenza in Ucraina e sostenere, in sede internazionale, l’annessione della Crimea. Se Israele sostiene la Russia nelle sue richieste, è molto probabile che Mosca sostenga il buon diritto dello Stato Ebraico a tenere i territori palestinesi. Sul piano strettamente militare, lo stato ebraico teme poi che la presenza di armamenti russi evoluti, come il missile nuclearizzabile Iskander o le batterie di vettori S-4007, che sono state vendute da Mosca anche agli iraniani, renda il territorio siriano altamente pericoloso per la sicurezza di Israele. Occorreranno quindi garanzie operative molto specifiche e un chiaro inquadramento delle difese russe verso Est e nella direzione delle linee del futuro gasdotto del Leviatan, per rassicurare Gerusalemme sulle buone intenzioni della Federazione Russa.

Si dice, comunque, che il dislocamento del Triunf S-4007 e delle altre armi evolute russe sia sostanzialmente una operazione “d’immagine” da parte di Mosca, e alcuni analisti britannici non ritengono nemmeno che tali notizie abbiano un reale fondamento. La Russia però già ha in azione una postazione di ascolto nel Golan, almeno dal 2007, che controlla il traffico telefonico, via internet e elettronico di Israele e, soprattutto, dei suoi centri decisionali. D’altro canto lo Stato Ebraico ha alcune postazioni d’ascolto nelle alture del Golan ed in altre aree sicure del quadrante mediorientale. In altri termini, sia Putin che Netanyahu giocano a carte scoperte, sapendo perfettamente quali sono i progetti e la “tacit knowledge” l’uno dell’altro.

Quindi, nello scenario migliore, date tutte queste condizioni Israele potrebbe:
a) sostituire, alla lunga, gli USA con la Federazione Russa come alleato globale e come presenza di riferimento nel quadrante mediorientale. La classe politica americana è infatti fortemente legata, anche dal punto di vista finanziario e delle sovvenzioni politiche, alla lobby saudita. Le due guerre della Coalizione a guida USA in Iraq hanno destrutturato il principale nemico di Riyadh, l’Iran, hanno interposto un sistema militare evoluto occidentale tra i sauditi e il loro avversario globale iraniano, hanno infine creato un centro di gravità a Nord dell’Arabia Saudita che ha stabilizzato, a favore dei sunniti di Ryadh, tutta l’area.
b) Israele può affidarsi ad un mediatore più stabile e credibile, quello russo, sia nei confronti dei palestinesi che perfino in rapporto, in un lontano futuro, con l’universo sciita e alawita. Gli Stati Uniti hanno giocato tutte le loro carte, nel Grande Medio Oriente, sulla democratizzazione e sulla secolarizzazione di popolazioni e regimi che non hanno la stessa cultura, la stessa storia, lo stesso nesso tra religione e politica che sono storicamente presenti in Occidente. Si aggiunga inoltre che la qualità delle loro operazioni di psyops e di propaganda erano, e sono, modeste e spesso incomprensibili alle vaste masse islamiche del Grande Medio Oriente. La modernizzazione che ha avuto successo, nell’Islam attuale, è casomai quella del jihad, non l’adattamento all’universo culturale occidentalista e secolarizzato. Non tutti gli arabi farebbero gli shahid, i “martiri” suicidi per Al Qaeda, ma tutta la grande piazza araba ha festeggiato la distruzione delle Torri Gemelle e l’attacco al Pentagono. E’ questo il nuovo immaginario con cui dobbiamo fare i conti. Ed è questo l’universo immaginale che deriva dal fatto che l’equilibrio delle Grandi Potenze, in Medio Oriente, è stato sostituito dalle piccole potenze regionali, che devono estremizzare la loro ideologia per coprire la loro insufficienza strategica, militare, geopolitica. Gli USA hanno quindi letto, dalle due guerre iraqene in poi, tutto il quadrante orientale con gli occhi dell’Occidente, under western eyes, per citare il titolo di un grande romanzo di Joseph Conrad, un testo inizialmente ambientato, guarda caso, a San Pietroburgo. Una strategia globale della democratizzazione e della secolarizzazione evidentemente oggi fallita, alla quale le classi politiche di Washington non possono non rispondere con la formula di Thomas Jefferson, no entanglements, nessun legame o, più esattamente, nessun aggrovigliamento.  Ma può esistere una potenza globale, con una moneta globale, senza entanglements? E’ un paradosso della politica estera nordamericana che non può essere risolto a breve.
3) Gerusalemme, in accordo con la Federazione Russa, potrà gestire la sua nuova politica di irradiamento globale, fuori dal Medio Oriente. Per Israele ci sarà posto, in futuro, nell’asse della Belt and Road Initiative cinese, in Asia Centrale, in India, perfino in America Latina e in alcune aree dell’Africa. Tutte zone che sono ormai nel mirino strategico russo e cinese, mentre la UE si ritrae (e aumenta il suo già rilevante tasso di antisemitismo) perfino dal Mediterraneo e sogna, con Washington, una irrazionale rinascita della guerra fredda, con le attuali operazioni in Polonia della NATO. E’ bene pensare, però, che la Crimea e l’Ucraina sono in mano russa, almeno de facto, e che da quelle aree può essere diretta una operazione militare contro le postazioni dell’Alleanza Atlantica ai confini della Federazione Russa che sarebbe difficilmente contrastabile dalla NATO.

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