“I lunghi giorni della Arctic Sea” insignito del premio letterario 2016 dell’Accademia Res Aulica di Bologna come Thriller dell’anno, l’intervista all’autore Michael Sfaradi.

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“I lunghi giorni della Arctic Sea” insignito del premio letterario 2016 dell’Accademia Res Aulica di Bologna come Thriller dell’anno, l’intervista all’autore Michael Sfaradi.

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arctic sea e Michael

Ciao Michael bentornato su Progetto Dreyfus. Innanzitutto complimenti per il risultato ottenuto: non deve essere stato facile ma credo sia il giusto riconoscimento per un romanzo che merita veramente di essere letto. Ti ha colto di sorpresa la notizia del premio?
Aver vinto questo premio è stata una grande sorpresa, ma lo è stato di più ancora il modo rocambolesco con cui si sono svolte le cose. I miei lettori sanno che i romanzi che portano la mia firma sono autoprodotti, ho una casa editrice la PS. Edizioni, ma è solo formale, e non c’è distribuzione nelle librerie. La vendita è soltanto online tramite il sito www.michaelsfaradi.it L’anno scorso una signora mi contatta per acquistare una copia di ‘ I lunghi giorni della Arctic Sea’, lo legge, le piace e decide di regalarne per Natale delle copie ad alcuni dei suoi clienti. Ne acquista altre dieci, le regala e una dei suoi clienti fa parte della giuria dell’Accademia Res Aulica. È stato un vero caso, questa signora lo legge e lo fa leggere agli altri giudici che insieme decidono di iscrivere d’ufficio il romanzo al concorso. Io in pratica ho saputo che un mio romanzo aveva partecipato solo quando mi hanno comunicato la vittoria nella sezione narrativa, la più importante del premio. Se pensi che gli altri libri che verranno premiati nella stessa serata, per altre sezioni sono pubblicati da Mondadori, da Cairo editori e dalle edizioni Croce, più che un premio direi che ho ricevuto un miracolo.

Ho notato sul tuo profilo Facebook intrattieni un buon rapporto con i tuoi lettori pubblicando spesso le loro recensioni e ringraziandoli personalmente. In particolare tantissimi sono rimasti entusiasti della storia del cargo maltese, da cosa credi sia dipeso questo successo?
Nel 2009 ho seguito le ‘avventure’ della Arctic Sea per il quotidiano LIBERAL, e nonostante il clamore che ci fu intorno alla scomparsa di questo cargo, ritrovato poi dalla flotta russa a 400 chilometri a nord delle isole di Capo Verde, e i forti sospetti che dietro la scomparsa ci fossero i servizi segreti israeliani, quasi immediatamente scese un silenzio tombale sulla vicenda come se la si volesse cancellare dalla memoria collettiva. Io a distanza di sei anni ho riesumato dal mio archivio tutte le informazioni che avevo raccolto, sia quelle verificate sia quelle impossibili da verificare e lavorando con la fantasia le ho unite in un romanzo che ha solide radici nella realtà. Ecco credo che siano proprio le radici nel reale, e quello che potrebbe essere accaduto davvero, che sicuramente ha scatenato interesse intorno a questo romanzo.

Magari te lo hanno già fatto notare in molti ma credo sia davvero importante sottolinearlo: un premio italiano per uno scrittore israeliano. Segno di un tendenziale interessamento del pubblico per Israele e ciò che lo circonda?
La mia risposta a questa domanda contiene una vena polemica e mi scuso in anticipo per questo, ma chi mi conosce sa che dico quello che penso. L’interesse per una certa cultura israeliana c’è sempre stata, sia nel mondo ebraico che in quello non ebraico. Ma si è sempre trattato di un interesse selettivo che elogiava solo una certa cultura e ne ha sempre insabbiato il resto. Quasi ci fosse da vergognarsi della parte che non si allinea e non segue il gregge, quasi che Israele culturalmente abbia un’unica anima. Nulla di più sbagliato. Io, nel mio piccolo sia chiaro, e come persona, faccio parte dell’altra cultura, quella per troppo tempo insabbiata. Non si spiegherebbe altrimenti come mai pur essendo giornalista con oltre 600 articoli pubblicati su stampa nazionale e reporter di guerra con almeno una quarantina di reportage scritti durante ‘Piombo Fuso’ e ‘Margine Protettivo’, uno anche per Progetto Dreyfus, con sei romanzi e due libri per bambini pubblicati che hanno ricevuto decine recensioni da quotidiani come per esempio Il Tempo, Il Foglio, LIBERO, Il Messaggero Veneto, Il Resto del Carlino, Il Piccolo di Trieste o lo svizzero, Corriere del Ticino, nessun editore importante si sia mai interessato alla mia produzione letteraria. Mi auguro solamente che questo premio non sia una meteora ma un punto di inizio per scoprire che Israele di letteratura, musica, pittura e arte in genere ne produce tantissima, e secondo me la parte più importante di questa produzione è proprio quella che si tende a nascondere.

Nei prossimi mesi sarai in giro per l’Italia a presentare la tua sesta fatica, “Am Groner Freibad N. 5”, un romanzo decisamente molto diverso da ‘I lunghi giorni della Arctic Sea’. Ti va di darci qualche anticipazione?
Non amo gli autori ciclostile, gli scrittori che scrivono secondo le leggi di mercato dettate dalle case editrici. Questo è un fenomeno che va combattuto perché fa del male all’arte dello scrivere. Si deve scrivere quello che si sente, che ci coinvolge che ci fa felici o ci rende tristi. Solo allora dalla penna esce il romanzo che appassiona e resta nella memoria dei lettori. È assurdo che ci siano degli scrittori potenzialmente validissimi, dei veri maestri della scrittura, che però si mettono davanti al computer e invece di seguire l’ispirazione seguono delle ricerche di mercato che lo spingono a un filone specifico solo perché avrà un riscontro di vendite. Di questi casi ce ne sono così tanti che è inutile fare nomi. Non solo ‘Am Groner Freibad N. 5’ è diverso da ‘I lunghi giorni della Arctic Sea’, ma anche tutti gli altri sono diversi fra loro. ‘Mosaico Mortale’ ad esempio è un’indagine tutta italiana, ‘Gli Amori Diversi’ è una storia legata al mondo dell’omosessualità femminile, mentre i due romanzi ‘Il sorriso della morte’ e ‘La catena dell’orrore’, anche se sono storie legate fra loro, non mi identificano come autore che scrive o sa scrivere solo di un genere ben definito. Tornando all’ultimo romanzo uscito ‘Am Groner Freibad N.5’ che presenterò a Roma il 6 ottobre prossimo e a Napoli in una data vicina ma ancora non definitiva, prende spunto da un fenomeno che interessò Israele dalla fine degli anni ’70 del secolo scorso fino a tutto il 1980, quando alcune migliaia di giovani fra i 18 e il 25 anni lasciarono le loro nazioni di origine e si trasferirono in Israele perdendo famiglie e affetti. Erano anni difficili quelli, c’era la guerra in Libano, eppure questi giovani, ognuno con motivazioni diverse, faceva il passo. È un po’ la nostra storia, la mia e di quelli che vissero quel periodo in prima persona. Nel romanzo faccio capitare a Ruben, il protagonista, fatti che ho conosciuto in prima persona, che sono accaduti ad alcuni miei amici o che ho semplicemente sentito raccontare. Anche in questo caso la narrazione ha delle radici ben saldate in eventi che accaddero veramente.

Quanto c’è di te in ogni romanzo? Il trasferimento in Israele, l’esperienza da reporter di guerra, hanno mai condizionato il tuo modo di raccontare?
Ho sempre creduto che uno scrittore per essere bravo non debba mai parlare di se stesso, il rischio è che alla fine la scrittura diventi monotematica e noiosa. Inutile però negare che qualcosa di personale finisca poi nel calderone delle storie, quanta è questa percentuale? Impossibile quantificarla, dipende dal soggetto, dalla storia e dal momento che l’autore sta vivendo. Una frase scritta in quest’istante o fra dieci minuti può raccontare esattamente la stessa cosa ma le due frasi, inevitabilmente, lo faranno in maniera diversa. Solo dopo aver pubblicato la mia opera prima ‘Il sorriso della morte’ nel 2007, mi resi conto che scrittore non lo ero diventato in quel momento ma lo ero sempre stato, è però in Israele, dove tutto è possibile, che ho scoperto questa mia natura. Avevo già 46 anni. Se fossi rimasto in Italia, ne sono convinto, tutto sarebbe rimasto chiuso nella cassaforte delle potenzialità inespresse. Raccontare la guerra dopo averla guardata da vicino, dopo aver sentito le sirene d’allarme, dopo essere stato ore dentro i rifugi antiaerei mascherando la paura per dare coraggio a chi non riusciva a mascherarla, dopo aver sentito il tuono dei cannoni e aver visto ragazzi appena maggiorenni tornare dal fronte sporchi di sangue, e in qualche caso dentro i sacchi di gomma, non solo mi ha condizionato, mi ha obbligato, anzi costretto con la forza, a vedere la vita per quello che è e a raccontarla per come l’ho vista io con i miei occhi senza veli pietosi e dannosi. Quello che ho vissuto mi costringe, giorno per giorno, a continuare su questa strada senza cedere né ai compromessi né alle censure, anche di chi spesso mi consiglia di lasciar correre ‘per il mio bene’. Sono arrivato a un età che posso tranquillamente fregarmene di quello che potrebbe pensare di me chi non la pensa come me. Non è un caso che come giornalista ho cambiato decine di redazioni e, come ho già detto, come scrittore non ho una Casa Editrice importante per pubblicare la mia produzione. Ho comunque la cosa più preziosa, la libertà di scrivere in libertà e se a qualcuno non va bene me ne faccio una ragione.

Immagino che il premio sia uno stimolo per i progetti futuri. Hai già qualcosa in mente?
Ho nel cassetto, o meglio nella memoria del mio computer, due romanzi finiti che potrebbero essere pubblicati in qualsiasi momento e sto lavorando su un altro romanzo anche lui legato all’attualità dei nostri giorni. Ancora non so quale sarà ma anche nel 2017 ci sarà in vendita online un nuovo libro con la mia firma e con la copertina dipinta da Rosj Domini, la mia compagna, che olio su tela crea e ha creato tutte le copertine dei miei romanzi.

Grazie per il tempo che ci hai dedicato Michael. In bocca al lupo e ancora complimenti per il premio.
Grazie a voi di Progetto Dreyfus, il premio letterario Accademia Res Aulica lo ritirerò a Bologna il prossimo primo ottobre e spero di vedervi numerosi alle varie presentazioni che farò fra settembre e ottobre e di cui darò notizia sulla mia pagina Facebook.

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