Arpad Weisz, dai successi calcistici alla morte ad Auschwitz

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Arpad Weisz, dai successi calcistici alla morte ad Auschwitz

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Un rivoluzionario del calcio. Un allenatore che riuscì a imporsi nel campionato italiano, interrompendo l’egemonia della Juventus.

Un personaggio che avrebbe potuto dare ancora molto alla storia di questo sport, se solo non fosse nato in un’epoca in cui essere ebrei significava finire nelle camere a gas.

La vita di Arpad Weisz, ungherese di Solt, subì più che mai le tragiche conseguenze delle due guerre mondiali che caratterizzarono i primi decenni del ‘900.

Lo scoppio della Grande Guerra lo costrinse ad abbandonare gli studi universitari di giurisprudenza, mentre la Seconda Guerra Mondiale fermò la sua vita nell’inferno di Auschwitz.

La figura di Arpad Weisz è legata nel male e nel bene all’Italia. Nel 1915 venne fatto prigioniero e poi internato a Trapani, negli anni successivi diventò un discreto calciatore per poi spiccare le ali e iniziare una brillante carriera da allenatore che lo portò a vincere tre scudetti con due squadre diverse: uno con l’Inter (1929-1930), gli altri con il Bologna (1935-1936 e 1936-1937).

La stagione successiva, dopo i due tricolori sotto le due Torri, si chiuse al sesto posto. Un risultato tutt’altro che positivo, che divenne il preludio a un busco cambiamento di vita.

Era 1938, l’anno spartiacque per gli ebrei che vivevano in Italia. Arpad Weisz, assieme alla moglie Ilona Rechnitzer, ebrea ungherese conosciuta durante il periodo sulla panchina dello Szombathely, e ai due figli Roberto e Clara – nati a Milano – furono costretti a rifugiarsi nei Paesi Bassi.

Ma l’inesorabilità della macchina di morte nazista tornò a imperversare sulla famiglia Weisz. Era il 1942, anno in cui la Germania conquistò i Paesi Bassi. Stella gialla, espulsioni da scuola e abbandono coatto del lavoro non risparmiò nessuno, neanche gli Weisz che il 2 agosto dello stesso anno vennero arrestati dalla Gestapo e portati nel campo di transito di Westerbork fino al 2 ottobre.

Quel giorno Weisz e la sua famiglia furono costretti a salire sul treno che gli avrebbe deportati a Auschwitz, dove arrivarono il 7 ottobre.

Quel giorno la famiglia Weisz si separò per sempre. Elena, Roberto e Clara vennero subito spediti nelle camere a gas, Arpad venne mandato nei campi di lavoro dell’Alta Slesia.

Dopo quindici mesi di lavori forzati, venne riportato ad Auschwitz, dove morì all’età di 47 anni.

Era il 31 gennaio 1944, giorno in cui l’Italia si rese ancora più co-responsabile della macchina di morte nazista.

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