“Sono Sionista”. Un grido d’amore per uno Stato che ama la vita

Miriam Spizzichino
Miriam SpizzichinoScrittrice & Blogger
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Cultura

“Sono Sionista”. Un grido d’amore per uno Stato che ama la vita

Cultura
Miriam Spizzichino
Miriam SpizzichinoScrittrice & Blogger

israele-occhi
“Sono Sionista” è un libro scritto da Ariel Shimona Edith Besozzi, edito da Salomone Belforte, e con il contributo di Ugo Volli per la presentazione e di Deborah Fait per la prefazione.
Un libro dal titolo forte perchè al giorno d’oggi, con l’antisemitismo dilagante, diventa quasi un atto di coraggio definirsi “sionista”. Forse proprio per questo l’autrice, già nel primo capitolo, si sofferma subito sulla motivazione che la spinge a schierarsi con lo Stato d’Israele dopo che nella prefazione è stato spiegato a chiare lettere il vero significato del Sionismo.
In ogni pagina del libro trasuda il suo sentirsi appartenente a un popolo sia in ambito religioso (ndr l’autrice è di fede ebraica), sia in ambito laico. La scrittura è semplice, la lettura molto scorrevole. Con un linguaggio limpido, l’autrice, riesce a far immaginare nella mente del lettore il suo secondo viaggio in Israele che comincia a Tel Aviv, passa per Gerusalemme e per il Mar Morto, per poi finire nel Kibbutz di “Nir Oz” al confine con Gaza.
Il capitolo che più mi ha colpito si intitola “La Sirena: urla nella notte” e dimostra quanto possono essere tormentati i sogni di chi ha sentito, almeno una volta nella vita, il suono spaventoso della sirena che protegge i civili israeliani e che all’autrice ricorda “costantemente chi sono”.
Verso metà libro ci si incomincia ad addentrare su argomenti di attualità come la pioggia di denaro che ha investito Gaza grazie agli USA e all’UE, in particolar modo all’Italia, oppure come la frase infelice di Papa Bergoglio dove definisce Abu Mazen un “angelo della pace”. Secondo l’autrice, quest’ultimo, è un tentativo della Chiesa Cattolica di salvarsi dal terrorismo islamista, leggittimandolo.
Molto toccante e veritiera l’ultima frase del libro nel capitolo “Ester”. È proprio con questa frase che voglio concludere la mia recensione per lasciarvi alla mia intervista con l’autrice:

“Tutte le maldicenze su Israele che costruiscono l’ostilità che si sta diffondendo sempre più in tutto il mondo sono sulla mia pelle, sono su di me, contro di me. È così per me, per Ester, per molte donne e molti uomini. Così l’impegno a di ondere le informazioni si fa giorno dopo giorno sempre più forte. Per questo abbiamo bi- sogno di raccontare Israele. Per questo lo facciamo e continueremo a farlo, ognuna a proprio modo, con la propria storia, nella propria vita, sempre insieme!”

“Sono sionista”. Una domanda che sicuramente già dalla copertina una persona può porsi è: perché?
La risposta più semplice è che credo nel diritto all’autodeterminazione del popolo ebraico nella propria Terra, ma in realtà vorrei provare a rispondere diversamente, questa volta… ho iniziato da poco a correre, mio marito ed io abbiamo dato vita ad un progetto #runxisrael con il quale desidereremmo coinvolgere i runner di tutto il mondo in un’iniziativa finalizzata a combattere il terrorismo, attraverso la preparazione per la partecipazione, come primo appuntamento, alla maratona di Tel Aviv 2017. Per molti anni mi sono dedicata alla corsa in maniera estemporanea, avevo in mente qualcosa, sentivo che la corsa e la scrittura erano in certa misura legate ma restava un anelito, un desiderio, un’idea un poco romantica di me stessa. Adesso sono dieci mesi che corro, con costanza, almeno tre volte alla settimana, ho affrontato una mezza maratona e mi sto preparando per un trial di 39 chilometri. Correre è bellissimo ma anche molto faticoso perché domanda di essere scelto ogni volta, per me il sionismo è la stessa cosa. Potrei restare nell’idea di Sion, nel desiderio di Sion, potrei andarci ogni tanto mentre non è Israele ed aspirare a che lo diventi, oppure, investire energie fisiche oltre che mentali, perché sia Israele esattamente lì su quel preciso pezzo di Terra. Per me dire “Sono sionista” significa accogliere la fatica di conoscere e riconoscere quella Terra, lottare, come posso, perché il mio Popolo vi possa risiedere, scegliere di determinarne l’esistenza attraverso la concretezza della nostra presenza lì.

Qual è il legame tra lei e Israele?
Il mio legame con Israele è fatto di tutto quello che dicevo prima, è fatto di anelito, desiderio, sogno ma anche di concretezza di Terra, di tempo ed impegno. E’ qualcosa che riguarda la mia anima ed il mio corpo. Israele è Casa, Israele è Vita.

Che cosa pensa dell’antisemitismo sempre più presente nella nostra società?
Credo che la radice del problema non sia ancora stata affrontata, che non ci sia ancora la consapevolezza che l’antisemitismo nasce da un problema degli antisemiti, non degli ebrei. Per affrontare ed in qualche modo arginare le molteplici manifestazioni di quello che più propriamente potrebbe dirsi antiebraismo (che è stato antigiudaismo, antisemitismo ed oggi è antisionismo) occorre parlarne, occorre descriverne le manifestazioni e soprattutto occorre fare discorsi che risultino essere come uno specchio posto davanti all’odiatore. Occorre imporre agli antisemiti di guardarsi di vedere tutto l’odio, l’invidia, il risentimento, l’ignoranza che li anima.

Qual è il suo rapporto con la religione?
Personale ma soprattutto collettivo. L’ebraismo domanda d’essere all’interno di una comunità. Per quanto i precetti specifici femminili possono essere per lo più svolti in casa nulla avrebbe senso se non fossero all’interno della comunità. Penso sia questa necessità alla condivisione, alla quale siamo chiamati, ad averci offerto la possibilità di crescere come popolo ma anche a sviluppare un forte senso di solidarietà che risulta estremamente evidente in Israele e che non si determina soltanto al nostro interno ma che ci chiama ad essere per la Vita, sempre. Ogni persona, a prescindere dal proprio credo o dal popolo cui appartiene è chiamata alla custodia del creato. Questo senso di responsabilità è una cosa che spesso non viene capita ed altrettanto spesso genera una sorta d’invidia, quando viene confusa con una presunzione di superiorità. Nulla di più sbagliato, avviene perché esiste un’etica che è stata tramandata viva nei secoli e che ci domanda la fatica d’essere così. Non siamo poi diversi da tutti gli altri popoli, abbiamo la medesima quantità di sciocchi e di geni…

Quanto è difficile schierarsi politicamente per una sionista ebrea al giorno d’oggi?
Schierarsi politicamente è semplice, intendendo politica ogni azione ed ogni parola; cercare un luogo politico cui apparentarsi rifacendosi a schemi come sinistra/destra direi impossibile. Sono visceralmente anti-fascista ma certamente non mi riconosco in quella che si definisce sinistra, come non sopporto il populismo complottista incarnato dal M5S. Dico e scrivo quello che penso, libera da condizionamenti diversi da quelli che mi impone l’etica ebraica, per questo non mi sottraggo dal prendere posizione rispetto ciò che avviene cercando di approfondire prima di dire. Non ho paura di cambiare idea, come già mi è accaduto più volte nella vita, se attraverso una riflessione ed un approfondimento mi rendo conto di sbagliare sono felice di ammetterlo e ripartire dall’autocritica.

Nel libro parla dei suoi viaggi in Israele. Quali sono i luoghi che più la affascinano?
Sarò banale ma amo soprattutto Gerusalemme, è il luogo nel quale vorrei vivere. Non di meno nel corso di ogni viaggio mi trovo a scoprire o riscoprire luoghi della nostra piccola Terra in grado di restituirmi esperienze e sensazioni che mi accrescono, cui mai potrei rinunciare.

Come mai in un capitolo ha scritto una lettera aperta a Greta Ramelli (ndr rapita in Siria nell’estate 2014 insieme a Vanessa Marzullo)?
Come scrivo nel libro ho incontrato, nel corso di un evento pubblico, Greta prima del suo rapimento. Quando è stata liberata, quando la trama attorno al viaggio compiuto da lei e Vanessa si è definita, ho sentito di voler scrivere a quella giovane donna, avevo bisogno di pensare che non si fosse prestata consapevolmente a quello che potrebbe essere diventato, grazie a lei ed alla sua amica, finanziamento del terrorismo attraverso il pagamento di un presunto riscatto… sono ancora molto colpita dal fatto che non hanno mai sentito il bisogno di chiedere scusa.

Che cosa bisogna fare, secondo lei, per combattere il silenzio e la disinformazione sugli attentati terroristici compiuti in Israele?
Parlarne, scriverne, come fate molto bene voi di Progetto Dreyfus e come fanno altre testate on-line e pochissime testate cartacee. Fondamentale è creare occasioni mediaticamente molto forti, come è stata la presentazione del film su Ilan. Ma credo anche sarebbe utile cercare di portare all’attenzione dell’opinione pubblica l’evidenza di una prevalenza di insegnati nelle scuole carichi di pregiudizi che trasmettono informazioni distorte su Israele. Mi è capitato di denunciare corsi d’aggiornamento per insegnanti, pagati con soldi pubblici ovviamente, tenuti da discutibili personaggi che hanno espresso chiaramente il proprio appoggio ad organizzazioni terroristiche come Hamas. Questo non dovrebbe essere possibile in uno stato sano. Credo che, anche nelle università, sia fin troppo frequente la presenza di seminari o convegni decisamente contro Israele. Secondo me, in questi casi per esempio, non bisognerebbe essere timidi, se un politico mostra di voler combattere questo tipo di situazione è necessario appoggiarlo. Mi piacerebbe inoltre poter portare il mio libro nelle scuole, in particolare alle medie, vorrei avere la possibilità di mostrare alle allieve ed agli allievi che ancora non sono stati condizionati dagli insegnati e dalla propaganda dei così detti propalestinesi, cosa significa essere sionista.

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