Chiamare le cose con il loro nome

Il fondamentalismo islamico continua a mietere vittime. Nascondere la testa sotto la sabbia non servirà a salvare vite umane

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Niram Ferretti
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Dossier, Terrorismo

Chiamare le cose con il loro nome

Il fondamentalismo islamico continua a mietere vittime. Nascondere la testa sotto la sabbia non servirà a salvare vite umane

Voi siete la nazione la quale, invece di governare attraverso la Sharia di Allah nella sua costituzione e nelle sue leggi, ha scelto di inventare le proprie leggi come volete e desiderate”, scriveva Osama Bin Laden nella sua “Lettera al popolo americano” nel 1982. Ed è questo il punto.

Per l’Islam più integralista, l’occidente è avvolto nelle tenebre della jahiliyya, lo stato di ignoranza che non permette di vedere la luce portata dal profeta, l’unica luce che può rischiarare le coscienze ed elevare l’uomo alla verità suprema. La guerra a cui stiamo assistendo da decenni è una guerra asimmetrica, con un nemico ben definito in quanto circoscrivibile all’interno di un perimetro religioso e oltranzista, il quale, tuttavia non si incarna in uno stato, in un’entità politica nazionale a cui si può dichiarare guerra come nei conflitti tradizionali.

Lo sappiamo da tempo che è così, e questo rende il nemico molto più insidioso e inafferrabile e protetto. Protetto dalla grande massa musulmana definita moderata la quale fa da ventre molle, da confortevole placenta, a questa metastasi impedendo di essere identificata con il male. Dunque si può dire facilmente che l’Islam è a maggioranza pacifico e non sottoscriverebbe la violenza incessante che pure nasce al proprio interno e ad esso si riferisce, ma, allo stesso tempo si può e si deve dire appunto questo, che è pur sempre l’Islam che ha generato e genera il male di cui siamo testimoni. E dunque si deve per chiarezza e fermezza intellettuale non retrocedere da ciò che ne consegue.

Stiamo assistendo a una guerra combattuta in nome di una religione, in nome di una Weltanschauung non solo diversa ma opposta alla nostra, fondata su altri assunti, su altri presupposti. Quindi sì, si tratta di religione, si tratta del sacro, si tratta di una visione suprematista, il cui perno si regge, contrariamente all’ebraismo e al cristianesimo, sulla violenza. Ciò che Bernard Lewis aveva visto lucidamente nel 1954, quando in un lungo articolo sottolineava la profonda somiglianza di famiglia tra Islam e comunismo nel suo impianto totalitario, e andrebbe detto anche con nazismo e fascismo, come balzò immediatamente agli occhi di Adolf Hitler che nella fede maomettana riconosceva alcuni tratti inequivocabilmente affini ai propri feticci ideologici, l’Umma come il Volk, e la virtù maschia e guerriera dei musulmani speculare a quella delle “bionde belve nordiche”.

La lettera di Bin Laden al popolo americano sintetizza ciò contro cui combattiamo, perché è dell’occidente che essa parla, del suo assetto moderno e democratico grazie a cui le leggi dello stato non promanano da una fonte sacra ma dalla negoziazione, da quella discussione, che un grande reazionario come Donoso Cortes detestava così profondamente (odio inevitabile), è che è l’essenza del libero dibattito. Quel dibattito che deve essere strozzato sul nascere e sottomesso al volere divino incarnato nelle leggi da esso promananti.

Sottomissione, certo, come il titolo dell’ultimo romanzo di Houellebecq. Il nostro peccato è questo, lo stesso che ci imputava un altro reazionario, anticipatore del fascismo, De Maistre, il quale vedeva con suprema lucidità come l’ordinamento civile di una società che non fosse fondato sul mistico fosse destinato inevitabilmente alla precarietà, come tutto ciò che è umano. Ed è infatti l’odio per la fallibilità umana a trovarsi al centro di questa visione che vorrebbe sottometterci (di nuovo) alla rigidità senza scampo dei suoi codici “salvifici”. Dire che non è l’Islam, che la religione non c’entra è affermare il proprio divorzio dalla realtà per paura di doverne trarre le dovute conseguenze, quelle che Samuel P. Huntington aveva riassunto nel suo capolavoro, il clash of civilizations inevitabile, perché da sempre presente nella storia.

Non è nascondendo la testa sotto la sabbia che si può sfuggire alla durezza senza scampo dei fatti, ieri a New York, Londra, Madrid, Parigi, Manchester, Bruxelles, Berlino, Barcellona, Nizza, Orlando, e ovviamente, Israele, dove il rifiuto arabo-musulmano nei confronti dello Stato ebraico ha determinato da più di un secolo una violenza costante, arginabile unicamente con l’uso della forza in funzione della deterrenza.

Sarà, è, terribilmente difficile combattere questo nemico mobile e proteiforme che, una volta tagliata una delle sue teste la rigenererà traendo linfa e legittimazione dal proprio Libro, e lo sarà in particolare modo non affrontando la specificità di questo libro intriso di violenza e odio, chiamando le cose con il loro nome. Nomina sunt consequentia rerum.

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