Roba da Anpi

Alex Zarfati
Alex ZarfatiConsulente media, PR e digital sull'asse Roma-Tel Aviv. Presidente di Progetto Dreyfus.
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Roba da Anpi

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Alex Zarfati
Alex ZarfatiConsulente media, PR e digital sull'asse Roma-Tel Aviv. Presidente di Progetto Dreyfus.

Ascoltatelo con le vostre orecchie: l’invito del Presidente provinciale dell’ANPI di Roma a liberare i leader dell’intifada palestinese: criminali responsabili di attentati che hanno massacrato civili israeliani, tra cui anziani, donne, bambini.

 

Non siamo a Ramallah e non è il proclama di qualche imam (mal)tradotto dall’arabo. Siamo nel cuore di Roma, capitale d’Italia a Piazza del Campidoglio nell’anno del Signore 2020. Così in un pomeriggio di Giugno, muore la memoria dei partigiani, una storia di libertà, dirottata dall’ANPI (Associazione Nazionale Partigiani d’Italia) per alimentare il pregiudizio anti-israeliano. Invocando dal palco la liberazione di quei detenuti che tra settembre 2000 ad agosto 2005, sono stati responsabili di 151 attentati suicidi contro cittadini israeliani, uccidendo 515 persone e ferendone quasi 3.500.

Le frizioni con l’ANPI nazionale non nascono oggi, ricordiamo tra tutte il logo dell’ANPI capeggiare nelle locandine di presentazione di “Israele, il cancro” di Samantha Comizzoli, attivista già arrestata e rimpatriata nel 2015, in uno pseudo documentario che accusava Israele di crimini inenarrabili, responsabile de «l’occupazione nazista israeliana della Palestina».

L’antisionismo è diventato un’ossessione per l’ANPI. L’ANPI dovrebbe valorizzare il contributo portato alla causa della libertà dall’azione dei partigiani e degli antifascisti – glorificandone i caduti e perpetuandone la memoria – ma si è ridotta strumento al servizio della propaganda palestinese. Anzi, di più: in prima fila giustificando la lotta armata, superando per zelo i palestinesi stessi, non trovando oggi miglior modo di tutelare l’onore e il nome partigiano le speculazioni si mette a capo di una folle lotta contro Israele.

E non stiamo parlando del prolungamento della già detestabile equidistanza tra la parte israeliana e quella palestinese che derubrica gli attentatori a romantici guasconi che lanciano pietre contro i carri armati. Parliamo proprio di aver assunto nella propria missione la glorificazione e il fiancheggiamento dei terroristi dell’Intifada proponendone addirittura la liberazione, come si evince dalle parole di questo video. Ma attenzione a non classificare l’intervento di De Sanctis come una patetica gaffe, frutto dell’indifferenza alle ragioni di Israele o dell’ignoranza. E’ ormai evidente come ANPI trovi “conveniente” (politicamente e in termini di “adesione popolare”) alimentare miti in luogo di raccontare la storia e con una capriola trasformarsi in un grimaldello per affermare in campo nazionale ed internazionale la narrativa della lotta armata palestinese come “lecita”.

Gli stessi simpatizzanti sotto al palco poi sono quelli che saltano sulla sedia non appena li si accusa di antisemitismo. Loro, “avversi al sionismo come progetto politico” ma “vicini agli ebrei come popolo”. Che però dovrebbero giustificare di aver chiesto che la manifestazione fosse fatta “vicino alla sinagoga” e di aver ricevuto “diniego dalla questura”. Una cosa inspiegabile se veramente fossero avversi in buona fede allo stato ebraico e non agli ebrei tutti. Lo ammettono candidamente nei commenti pubblici di un volontario presso “Supporting Independence of Palestine”. Purtroppo sono in pochi a rilevarne l’ipocrisia.

La stessa ipocrisia per la quale un attivista noto per la sua passione per pentole e fornelli è stato visto passeggiare due ore prima della manifestazione per le strade dell’ex ghetto con tanto di fotografo al seguito. Lo chef dimostra di aver imparato alla perfezione le pratiche in uso alla “resistenza”. La stessa tecnica dei genitori palestinesi che mandano i ragazzini a provocare i soldati nelle zone calde di confine, cercando “lo scatto che inchioda” e magari vivere di rendita tutta la vita come eroi. Per fortuna la comunità ebraica ha sviluppato un certo fiuto per le imboscate mediatiche e ha imparato a scoprire fintamente il fianco lasciando cuocere nel proprio brodo la lunga lista di provocatori che “si fanno vasche” su e giù per Portico d’Ottavia rischiando di strozzarsi per quanti detestabili dolcetti (ai loro occhi) sono costretti ad ingollare.

Nella sfilata non mancano nemmeno i soliti, posticci “ebrei contro l’occupazione”, esibiti come bestie rare (e c’è chi si guadagna una foto di apertura su “Il Manifesto”) per sfoderare una contraffatta patente di onestà intellettuale.

A nulla vale o varrebbe chiarire in questo contesto la verità storica: ovvero che la West Bank non aveva alcun riconoscimento internazionale prima del 1948 e che lo stato ebraico fu letteralmente aggredito dal giorno successivo alla propria proclamazione, affrontando una minaccia esistenziale scagliata da Egitto, Siria, Libano, Giordania e Iraq, rafforzati da sauditi e yemeniti. Perché non siamo più sul piano della storia, ma su quello del mito. Anzi su quello dell’aperta celebrazione del terrorismo. Ben oltre persino della propaganda indecente che paragona Mandela a Barghouti.

Sabato 27 giugno a Roma si è fatta la storia. Sancendo, di fronte alla folla, come l’obiettivo dei manifestanti pro-palestinesi “de noantri” non sia più quello di avere uno stato a fianco dell’altro, ma celebrare i terroristi elevandoli a martiri, a “detenuti da liberare”. Così si è compiuto quel salto che rende evidente come tutta la retorica di piazza sia orientata alla cancellazione di Israele e alla sua sostituzione con uno Stato palestinese. In piena antitesi alla pace, alla coesistenza e al reciproco riconoscimento. Proprio una roba da ANPI.

 
 
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