Rawabi, il sogno palestinese

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Mario Del MonteEditor
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Rawabi, il sogno palestinese

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A pochi km a Nord di Ramallah sta sorgendo Rawabi, una città in costruzione progettata per ospitare circa 40,000 palestinesi della West Bank. Al suo interno si possono vedere giganteschi palazzi residenziali, alte torri per uffici moderni, negozi e spazi culturali. Dalle colline Tel Aviv è chiaramente visibile visto che dista solo 50 km.

Rawabi ha tutto ciò che serve a una città moderna, chi ha pianificato il progetto ha pensato a tutti gli aspetti della moderna urbanistica. Ha un impatto visivo magnifico, le pietre oro e beige si succedono in una serie infinita di sfumature che la fanno sembrare allo stesso tempo antica e futuristica. Risparmio energetico e rete stradale sono stati attentamente organizzati, ci sono decine di tipi di appartamenti tra cui scegliere in 23 diversi quartieri, il tutto esposto su monitor interattivi nell’elegante centro informazioni di Rawabi. Una volta scelto il proprio appartamento, la cucina e le decorazioni, i broker ipotecari delle banche palestinesi sono già lì pronti a chiudere l’affare.

Ma c’è una caratteristica di gran lunga più importante di tutte le altre: Rawabi è la prova che i palestinesi hanno la capacità, la volontà e il desiderio di condurre la stessa vita degli israeliani. Rawabi è l’anti Gaza per eccellenza. Chiunque può viverci ma ci sono delle condizioni da rispettare, tra cui quella di non acquistare gli appartamenti solo come investimento perché Rawabi non deve avere appartamenti sfitti. Inoltre tutti devono accettare uno stile di vita occidentale. Ci saranno centri commerciali, cinema, ristoranti eleganti e persino un auditorium per concerti con una capienza di 12,000 persone.

Quando gli israeliani si ritirarono da Gaza molti commentatori manifestarono la speranza che questa potesse diventare la “Singapore del Mediterraneo” ma evidentemente si sbagliavano. Gaza è degenerata in razzi, martiri, sequestri di persona e miseria, lasciando ad Israele l’amaro ruolo dell’amico che mestamente ti dice “te l’avevo detto”. Rawabi è una nuova speranza, la risposta alle atrocità dell’Islam radicale in Medio Oriente. Il suo consumismo, le opportunità di lavoro e le possibili partnership con altre realtà occidentali suggeriscono che la società palestinese se lo vuole, e se non è bloccata dalle organizzazioni terroristiche, può avanzare culturalmente e tecnologicamente.

Naturalmente come tutti i progetti ha subito qualche intoppo, ad esempio pochi giorni fa c’è stato un ritardo nel collegamento alla rete idrica israeliana, una battuta d’arresto che ha scatenato nei media israeliani, in particolare sul quotidiano Haaretz, delle forti proteste nei confronti della pubblica amministrazione. Alla fine con pazienza e buona volontà da parte del governo israeliano e del progettista palestinese Bashar Masri, l’acqua ha cominciato a scorrere a Rawabi dimostrando che una cooperazione amichevole è possibile anche fra due popoli storicamente divisi da tante questioni ideologico-territoriali.

Il possibile successo di Rawabi ha un significato profondo, dimostrerà che i palestinesi possono essere come gli israeliani: intelligenti, laboriosi e soprattutto moderni. La differenza la faranno le scelte, come quelle che i residenti possono fare al momento dell’acquisto dell’appartamento. Se gli utensili da cucina verranno usati per preparare cibo e non pezzi di ordigni artigianali, se le auto verranno usate per andare al lavoro e non per investire cittadini israeliani, se si finanzieranno attività imprenditoriali e non chi entra in una sinagoga per compiere una strage, allora Rawabi sarà davvero un’impresa faraonica. Rawabi deve essere il risultato di un processo culturale che non illuda più i palestinesi di poter gettare a mare gli ebrei, ma che miri a realizzare una società libera e moderna. “Due centri commerciali per due popoli”, potrebbe sembrare una battuta ma è invece una realtà possibile e decisamente migliore di questa piccola terra che non ha pace da troppo tempo.

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