Sale la tensione in Medio Oriente

Una guerra d’attrito a bassa intensità

Ugo Volli
Ugo Volli
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Medio Oriente

Sale la tensione in Medio Oriente

Una guerra d’attrito a bassa intensità

Medio Oriente
Ugo Volli
Ugo Volli

La tensione in Medio Oriente che si era allentata nelle ultime settimane, ricomincia a crescere. Nel golfo di Oman, che è per così dire l’anticamera del Golfo persico che si affaccia sull’Oceano Indiano al di là della penisola che lo chiude, dunque in un luogo delicatissimo, dove passa metà del petrolio che alimenta l’economia mondiale, due altre supepetroliere sono state sabotate . Un incidente analogo era accaduto il 12 maggio poche decine di miglia più a Est, nello stretto di Hormuz, per opera di “uno stato” (così la denuncia degli Emirati). Gli Stati Uniti hanno accusato esplicitamente l’Iran, anche su prove fornita dal Mossad. Il quadro è costituito dalle sanzioni americante che mirano a bloccare l’industria petrolifera iraniana, principale fonte di reddito del regime e dalla minaccia più volte reiterata dagli ayatollah: se non esportiamo petrolio noi dal Golfo, nessuno lo farà.

La minaccia è gravissima, perché rischia di chiudere la via del petrolio per Europa, Cina e Giappone (non per gli Usa e la Russia che ce l’hanno in casa). Il traffico delle petroliere è intensissimo, esse si devono fermare ai terminal per caricare il petrolio, sabotarle è facile. La sola contromossa degli americani (che hanno una potente flotta aeronavale nella zona) potrebbe essere colpire direttamente l’Iran, ma ne seguirebbe una situazione di guerra che bloccherebbe ancor di più il traffico.

A dimensione meno globale, ma molto significativa per la regione, continua l’azione di Israele per bloccare la costruzione di una forza offensiva iraniana in Siria: qualche giorno fa c’è stato un bombardamento importante, reiterato in due occasioni, in una base chiamata T4 nel nord del paese, vicino a Homs, dove hanno sede depositi e fabbriche d’armi iraniane. Poi Israele ha colpito un centro di spionaggio elettronico e di coordinamento militare in cima a una piccola montagna che si affaccia sull’altopiano del Golan, che sembra fosse gestito da Hezbollah. In entrambi i casi le truppe russe e i loro armamenti antiaerei avanzati non sono intervenuti, confermando la continuità del coordinamento militare con Israele, che era stato minacciato qualche mese fa in seguito a un incidente aereo sulla costa settentrionale, quando l’antiaerea siriana aveva abbattuto un velivolo di guerra elettronica russo, sbagliando bersaglio dopo un attacco israeliano. E ormai è evidente la divaricazione fra interessi russi e iraniani in Siria. Rispetto alla guerra d’attrito fra Israele e Iran in Siria, Putin è chiaramente neutrale.

Infine Gaza. Il cessate il fuoco informale di un mese e mezzo fa non regge. I terroristi pretendono di continuare a spedire palloni incendiari (e ormai anche esplosivi e con veleni chimici) in territorio israeliano, producendo danni continui. Israele ha reagito chiudendo la possibilità di andare in mare dei pescatori, che sono una parte significativa dell’economia di Gaza. Dalla striscia sono ripartiti dei razzi e Israele ha reagito bombardando basi militari. E’ chiaro che Israele non vuole la guerra a Gaza, che comprometterebbe i suoi progressi diplomatici ed economici col mondo e che costerebbe molti morti; ma non può consentire che dalla Striscia continui a partire il terrorismo a bassa intensità dei palloni incendiari, che invece i gruppi terroristi locali cercano di escludere dal cessate il fuoco. E dunque è probabile che si possa sviluppare un altro ciclo di lancio di razzi e rappresaglie.

E’ una situazione certamente frustrante, che dà preoccupazione. Le forze del terrorismo cercano di sfruttare appieno lo spazio che è lasciato libero dalla scelta di Usa e Israele di non scatenare una guerra senza motivi molto seri e dunque sviluppano provocazioni continue sotto il livello del “casus belli”. D’altro canto è perfettamente ragionevole per Trump e Netanyahu non cadere nella trappola della guerra aperta, che non sarebbe gradita ai loro elettorati, rinsalderebbe il fronte dei nemici, disgregherebbe le alleanze costruite con i paesi sunniti, e soprattutto probabilmente non potrebbe cambiare la situazione sul terreno senza costi gravissimi di vittime e credibilità. Del resto neanche Iran e Hamas vogliono la guerra in questo momento e stanno attenti a modulare le provocazioni tanto da pungere il loro nemico ma da non costringerlo al conflitto aperto. Lo scontro con “l’asse del male” oggi è una specie di guerra d’attrito a bassa intensità, che richiede nervi molto saldi e valutazioni estremamente lucide degli sviluppi tattici e strategici. E’ molto probabile che continuerà così, con alti e bassi, per parecchio tempo, fin tanto almeno che uno dei soggetti in gioco non veda una finestra di opportunità per trarre vantaggio dalla guerra, o che non si ritrovi al contrario così ridotto alla disperazione da provocarla. Ma è un gioco molto pericoloso, in cui gli sbagli di calcolo sono facili e molto pericolosi.

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