La risposta dei governi all’attentato di Parigi

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Mario Del MonteEditor
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I tre giorni di terrore di Parigi della scorsa settimana hanno evidenziato le debolezze dell’Europa di fronte alla minaccia jihadista. Si stima ci siano tra i 3,000 e i 5,000 foreign fighters che potrebbero tornare, o che già sono presenti, sul suolo europeo. I governi occidentali in seguito ai fatti di Parigi appaiono terrorizzati dalla preparazione mostrata dai terroristi e hanno cominciato a implementare nuove norme di sicurezza per mettere un freno al flusso di combattenti provenienti dalla Siria intenzionati a mettere a segno attacchi simili a quello di Charlie Hebdo o a quello al Supermarket kosher di Portes de Vincennes.

Il Primo Ministro inglese David Cameron, ad esempio, ha accolto le richieste dei servizi segreti britannici riguardo la possibilità di accrescere il potere di monitoraggio sulle comunicazioni, soprattutto per quanto concerne internet ed i social media. In particolare, i servizi di messaggistica come Whatsapp, iMessage e Snapchat risultano inaccessibili perché utilizzano un protocollo di comunicazione criptato. “Vogliamo consentire l’utilizzo di mezzi di comunicazioni cui semplicemente non possiamo avere accesso? La mia risposta a questa domanda è: “No, non possiamo”. Il primo dovere di qualsiasi governo è quello di garantire la sicurezza del nostro Paese e della nostra gente” è stato il commento a caldo del premier inglese.

In seno all’Unione Europea il dibattito si è focalizzato sul Trattato di Schengen che prevede la libera circolazione dei cittadini all’interno dei paesi membri. Sebbene non vi sia ancora un accordo unanime sulla sua completa sospensione, cominciano a circolare voci su possibili modifiche al Trattato. Le opzioni per ora variano dalla reintroduzione dei passaporti per viaggiare fra uno Stato e l’altro alla ricostituzione delle frontiere nazionali per “straordinari motivi di emergenza”. Inoltre sono state fatte richieste, da parte del mondo dell’Intelligence europea, per una maggiore collaborazione tra governi e le grandi compagnie del web soprattutto per quanto riguarda la veicolazione di materiale propagandistico di stampo jihadista.

Nonostante ogni Stato controlli a modo suo i soggetti sospettati di estremismo religioso, tutti i governi si sono dichiarati a favore di un maggiore controllo su chi viaggia verso Siria e Iraq o verso i paesi sospettati di foraggiare il terrorismo come lo Yemen. Si profila l’introduzione di una norma specifica per rendere reato viaggiare verso paesi in stato di guerra con l’obiettivo di addestrarsi al combattimento.

Tutti gli Stati con una forte presenza di comunità musulmane hanno alzato il loro livello di allerta al massimo grado: la Spagna, nonostante non abbia ricevuto notizie di gravi rischi per la nazione, ha disposto misure di sicurezza eccezionali per trasporti pubblici e centrali elettriche, la Francia ha disposto più di 10,000 uomini delle forze dell’ordine per salvaguardare gli obiettivi sensibili come scuole ebraiche e sinagoghe. Belgio e Germania, invece, hanno deciso di giocare d’anticipo sulle cellule terroristiche compiendo tra il 15 e il 16 gennaio alcuni blitz mirati. 13 arresti e 3 morti il bilancio delle operazioni in Belgio mentre, a Berlino, le forze speciali tedesche hanno fermato due uomini di origine turca accusati di guidare un gruppo che pianificava un attacco in Siria.

Fuori dall’Unione Europea le norme sono molto più rigide: l’Australia ha vietato i viaggi verso la Siria e ritirato i passaporti di 70 cittadini sospettati di aver partecipato alla guerra civile, in Canada il Primo Ministro Harper sta pianificando l’introduzione di nuove norme antiterrorismo che renderebbero più facili gli arresti e più lungo lo stato di fermo per i sospetti. Anche gli Stati Uniti hanno deciso di estendere ancora di più la portata delle norme antiterrorismo nonostante fossero già il paese più all’avanguardia dopo Israele in questo campo. Oltre ad aver aggiornato la No Fly List, contenente i nomi dei passeggeri a cui è vietato imbarcarsi su voli americani, è stato permesso all’FBI di ottenere dati demografici sulle comunità musulmane all’interno della nazione.

In Italia il dibattito è vivo ma ancora non è stata presa nessuna decisione su come reagire. Fonti del Ministero degli Interni riferiscono che i foreign fighters di origine italiana sono 53 e di alcuni sono noti anche nome e cognome, il timore è che il nostro paese venga utilizzato come porta d’accesso all’Europa grazie alla permeabilità dei confini ai flussi di migranti che provengono dal Mediterraneo, inoltre sappiamo che lo Stato Islamico ha più volte minacciato Roma e la Santa Sede attraverso alcuni video pubblicati in rete. Per ora il Ministro Alfano ha disposto il rafforzamento dei dispositivi di sicurezza per la zona intorno al Vaticano e per gli obiettivi ebraici nelle maggiori città italiane ma, sulla scia di ciò che sta accadendo negli altri paesi europei, non è detto che il governo Renzi non sia al lavoro per dare un segnale forte contro il terrorismo.

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