Israele risponde all’etichettatura dei prodotti: sospesi i rapporti diplomatici con le istituzioni europee

l'UE non sarà più parte delle discussioni di pace con i palestinesi, la battaglia diplomatica è appena iniziata

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Mario Del MonteEditor
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Israele risponde all’etichettatura dei prodotti: sospesi i rapporti diplomatici con le istituzioni europee

l'UE non sarà più parte delle discussioni di pace con i palestinesi, la battaglia diplomatica è appena iniziata

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Netanyahu

E’ arrivata la prima risposta israeliana alla decisione dell’Unione Europea di etichettare i prodotti israeliani provenienti dagli insediamenti ebraici in West Bank: il Primo Ministro Benjamin Netanyahu ha ordinato la sospensione dei rapporti diplomatici con le istituzioni UE escludendole di fatto da qualsiasi discussione riguardante il conflitto israelo-palestinese. Il Ministero degli Esteri ha spiegato in una nota che i rapporti con i vari paesi membri verranno mantenuti singolarmente, sarà l’Unione Europea come organizzazione nel suo complesso ad essere presa di mira dal provvedimento.

Questa mossa in parte era già stata annunciata l’11 Novembre quando il Ministero degli Esteri israeliano aveva comunicato che, in seguito alla scelta di etichettare i prodotti degli insediamenti, avrebbe escluso l’Europa dal dialogo con i palestinesi e che Israele ritirata da diversi forum bilaterali con l’UE.

A comunicare la mossa è stata la Vice Ministro degli Esteri Tzipi Hotovely che, insieme al Direttore Politico del Ministero Alon Ushpiz, ha convocato l’ambasciatore UE in Israele, Lars Faaborg-Andersen, redarguendolo formalmente per la decisione presa dalle istituzioni europee. In particolare è stato giudicata deplorevole la scelta di punire Israele proprio in un momento in cui è alle prese con l’ondata di attentati terroristici. Secondo alcune indiscrezioni riportate dai media israeliani Faaborg-Andersen avrebbe risposto che le linee guida sono meri tecnicismi e che l’ostilità nei confronti degli insediamenti è qualcosa che l’Unione sostiene da molto tempo. Per Faaborg-Andersen a sostegno di questa tesi ci sarebbero gli accordi di facilitazione per il commercio che già distinguevano i prodotti provenienti da zone fuori dalla Green Line e dai confini del 1967. Inoltre l’ambasciatore ha voluto rimarcare il fatto che non si tratta di boicottaggio di tutti i prodotti israeliani.

Israele ha sottolineato come questa misura non intaccherà i rapporti bilaterali con i 28 paesi membri dell’Unione. L’Ungheria infatti non ha mai accettato l’imposizione di questa decisione definendola “uno strumento inefficiente e irrazionale che non contribuisce a trovare una soluzione arrecando invece un danno ulteriore al dialogo fra israeliani e palestinesi”. Il Ministro del Commercio ungherese Péter Szijjártó ha annunciato che il paese lotterà per opporsi a questa misura obbligatoria per gli Stati membri. Péter Szijjártó si è detto estremamente convinto che i primi ad essere danneggiati saranno i lavoratori palestinesi perché le compagnie israeliane molto probabilmente opteranno per trasferire i propri stabilimenti in altre parti d’Israele. In una nota inviata pochi giorni fa la Commissione Europea ha fatto intendere che nonostante le rimostranze ungheresi difficilmente accetterà che un singolo Stato possa liberamente scegliere di non implementare le linee guida.

Per quanto riguarda la Germania, uno dei migliori alleati d’Israele in Europa, ci si aspetta che da Berlino venga lanciato un qualche messaggio o che venga ritardata il più possibile l’implementazione. Il partito di Angela Merkel, l’Unione Cristiano-Democratica di Germania, ha fatto sapere di essere contrario a questa norma ma i commenti dei vari esponenti sono stati finora molto prudenti.

Il fatto che ogni paese avrà un proprio meccanismo di controllo per le etichettature permette a Israele di sperare che i paesi meno ostili decidano di interpretare positivamente alcuni aspetti poco chiari. Ad esempio non ci sono delle misure esatte per le etichette e alcuni paesi potrebbero decidere di “nascondere” l’origine dei prodotti fra gli ingredienti o fra le informazioni riportate sul retro. Anche l’esatta definizione della provenienza è lasciata alla discrezione dei paesi membri, l’unico obbligo è quello di non considerare il prodotto “made in Israel”. Questo permetterà ad alcuni paesi di chiamare la West Bank con il nome con cui ci si riferisce in ebraico ovvero Giudea e Samaria. Queste aree grigie sono il concreto spazio in cui i diplomatici israeliani si muoveranno nei prossimi giorni per limitare i danni economici provenienti dall’etichettatura.

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