Intelligence, cooperazione, scambio di informazioni, lavoro sul campo, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. Così Yaakov Perry, ex capo dei Servizi di sicurezza interni di Israele, ex ministro della Scienza, Tecnologia e dello Spazio, oggi membro del Parlamento israeliano, indica la strada per contrastare il terrorismo. Yaakov Perry ne ha parlato davanti a un pubblico attento e interessato, al Palazzo dei Congressi di Lugano, in occasione dell’Israel Day organizzato dall’Associazione Svizzera-Israele, per celebrare i 68 anni dalla nascita dello Stato Ebraico e i 67 anni delle relazioni diplomatiche con la Svizzera.
Preceduto dall’esecuzione degli inni nazionali svizzero e israeliano, cantati dalla soprano Adriana Savonea, e dai saluti del sindaco di Lugano, Marco Borradori, del consigliere di Stato, Christian Vitta, e da una testimonianza del parlamentare Gianrico Corti, Yaakov Perry ha esordito sottolineando l’importanza di tecnologia e innovazione per Israele. “Logica e sogni – ha ricordato -sono in stretta sinergia. Il padre della nostra Nazione, Ben Gurion, definì tecnologia e scienza come priorità nazionali e tracciò il sentiero per la storia di un successo unico per Israele, affermando che si doveva dare la possibilità ai giovani di talento di dedicarsi alla ricerca e allo sviluppo, il più possibile, in ogni campo e che il nostro obiettivo era proteggere e sviluppare la nostra Patria”.
“La combinazione unica della mente ebraica, con la nostra esperienza militare, e la necessità di innovarci per sopravvivere, hanno fatto di Israele un ecosistema speciale per sviluppare idee. C’è una chiara relazione tra innovazione e necessità di sicurezza. L’industria militare porta avanti costantemente soluzioni innovative per le necessità continue nella realtà complicata in cui noi viviamo. E la stessa gente che opera nella nostra intelligence, nelle unità speciali e nell’industria militare, porta poi la sua esperienza per creare e innovare nel settore privato. Questo è uno dei segreti di Israele”.
Perry ha poi passato all’analisi della delicata situazione in Medioriente. “C’è un’iniziativa per creare un ombrello regionale che include Israele, Arabia Saudita, Giordania, Egitto e la maggioranza dei Paesi del Golfo e rinnovare i negoziati tra Israele e l’Autorità Palestinese. Oggi Israele e la maggioranza del mondo arabo condividono due grandi interessi. Il primo è il fronte anti-iraniano. Più che Israele, Arabia Saudita e altri Paesi arabi sono preoccupati circa la capacità nucleare iraniana e la sua attività aggressiva nella regione. Il secondo interesse condiviso è la lotta contro l’Islam radicale. Questi due interessi servono a catalizzare e facilitare la creazione di un ombrello regionale che può anche promuovere la soluzione del conflitto israelo-palestinese. E ci sono segnali che qualcosa possa cambiare. Tutto il mondo ci accusa e alcune critiche sono legittime, ma io vi assicuro che Israele cerca la pace in tutti i suoi confini e anche nella regione”.
“Includere i Paesi arabi moderati nei colloqui tra Israele e palestinesi – ha aggiunto – può portare benefici economici e accelerare i negoziati e incoraggiare i palestinesi a raggiungere compromessi. Può essere questa una nuova fase delle relazioni in Medioriente. L’idea che il conflitto israelo-palestinese sia al centro dei conflitti in Medioriente è una convinzione errata. Se guardiamo quello che succede tra i nostri vicini, possiamo vedere sfide molto più pericolose”.
“La coalizione anti-Isis sta aumentando le sue azioni, ma è ancora ben lontana dal raggiungere una vittoria decisiva. Per l’Isis, Israele e l’Europa sono ancora priorità relativamente basse. La loro sfida è in aumento soprattutto nel mondo arabo. Ma c’è un allarme che ci allerta. L’Islam era una religione moderata e tollerante, ma oggi gran parte del mondo musulmano sta diventando estremo e radicale. Noi siamo testimoni di un’escalation della brutalità degli Sciiti e alla crescita dell’Isis, il cui obiettivo è tornare alle radici del califfato islamico. Il fatto che nelle capitali europee c’è un aumento di musulmani, provenienti dal Medioriente e dall’Africa, insieme al fatto che stia crescendo il numero di giovani europei che combattono per la causa dell’Islam radicale, ha trasformato l’Europa in un terreno fertile per la crescita delle attività dei terroristi islamici. Quello che è successo a Parigi e Bruxelles dimostra che anche quando è un piccolo gruppo vuole uccidere e distruggere, un ambiente favorevole lo incoraggia”.
Che fare allora? “Noi – risponde Perry – dobbiamo unire le forze contro chi vuole cancellare i nostri valori. Dobbiamo promuovere una più stretta cooperazione di intelligence, espandere i nostri legami economici e mantenere un fronte unito contro le forze radicali nel mondo. La cooperazione fra intelligence, usando soluzioni di tecnologia ultra-moderne, può aiutare a prevenire atti di terrorismo, anche se non è una scienza e non offre soluzioni ermetiche. Israele è sempre pronta a cooperare, anche se, sfortunatamente, per ragioni politiche non tutti i Paesi europei sono pronti a cooperare apertamente”.
“Il terrorismo – ha aggiunto – lavora anche nei week-end, 24 ore su 24, e non si combatte con mezzi liberali e norme utopiche per i diritti civili. C’è un atteggiamento europeo sbagliato verso l’estremismo islamico. A Bruxelles, ad esempio, non puoi entrare nelle case per controlli prima delle 5 di mattina e dopo le 5 di pomeriggio. E il terrorismo va combattuto giorno e notte. L’Europa deve togliersi i guanti, essere più aggressiva, e controllare meglio gli elementi sospetti. Si deve rinunciare a qualcosa della vita privata in nome della sicurezza. In Israele questo si fa, e nonostante questo, la vita in Israele è libera”.
Perry ha poi parlato di antisemitismo: “Che sta crescendo in Europa. E’ terribile sentire che gli ebrei a Parigi si tolgono la stella di David dalle collane o non indossano la kippà per paura di essere attaccati fisicamente, solo perché sono ebrei. Ma oltre a questa violenza antisemita, c’è un antisemitismo istituzionale. Il primo esempio è il movimento BDS, il cui scopo è isolare e demonizzare Israele, non riconoscendo il diritto di Israele a esistere come Stato Ebraico. Questo movimento sta crescendo in Europa ed è finanziato da molti Paesi europei, compresa la Svizzera”.
Rispondendo alle domande del giornalista Marcello Foa, Perry ha poi tracciato un quadro della situazione internazionale. “Gli Stati Uniti non stanno capendo bene cosa succede in Medioriente e la Russia ne sta approfittando. Combatte l’Isis, ma il suo scopo è far vedere a gli Stati Uniti chi è il vero leader. C’è un interesse russo a essere più influente nella regione. Obama? Con Netanyahu c’è una crisi personale che spero venga risolta. Ma gli Usa sono un nostro alleato. E abbiamo buoni rapporti anche con la Russia”.
“Quanto all’Iran, noi non siamo contrari a un accordo, ma siamo contrari a un cattivo accordo. E quello raggiunto è un cattivo accordo che permetterà all’Iran di avere l’arma nucleare fra sette-dieci anni. Che sono niente. E a quel punto sarà tardi per tornare indietro. Le sanzioni andavano tolte gradualmente, non di colpo. Infine la Siria: per noi Assad è il male minore. L’Isis? Non attacca Israele e noi non lo attacchiamo. Non è il momento di intervenire. Noi guardiamo, stiamo attenti e preghiamo di non essere coinvolti”.
I saluti del presidente dell’Associazione Svizzera-Israele, sezione Ticino, Adrian Weiss, la consegna a Yaakov Perry di un’opera della pittrice Gabriela Spector e un buffet con prodotti e vini israeliani hanno chiuso la giornata.