Iran e Israele: scenari di guerra

Ugo Volli
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Medio Oriente

Iran e Israele: scenari di guerra

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Ugo Volli
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iran-israele-guerra-progetto-dreyfusNel suo primo intervento importante dopo la nomina, il nuovo segretario di stato americano Anthony Blinken ha detto che all’Iran nelle condizioni attuali manca solo qualche mese per accumulare materiale fissile sufficiente per fabbricare la sua prima bomba atomica e che, se continuerà a ignorare gli impegni che ha preso, accelerando la fabbricazione di uranio arricchito, potrebbe essere solo questione di settimane. Poco tempo separa l’accumulo del combustibile nucleare e la bomba vera e propria. L’Iran ha già probabilmente la tecnologia e i materiali di precisioni necessari alla costruzione della bomba vera e propria e ha certamente i missili per recapitarla fino a 3000 chilometri di distanza, il che significa che è già in grado di colpire Mosca, Roma, Il Cairo, Nuova Delhi, Riad. E naturalmente Israele, il quale è particolarmente vulnerabile perché il suo territorio è molto piccolo e al suo interno la maggioranza della popolazione, il sistema di comando militare e buona parte dell’economia sono concentrati nel raggio di 10 o 20 chilometri intorno a Tel Aviv. Una singola bomba atomica, arrivando su questo bersaglio, potrebbe  mettere in ginocchio il paese. Lo stesso vale per gli stati del Golfo, che non a caso sono alleati con Israele.

Anche senza  essere direttamente usato, l’armamento atomico dell’Iran cambierebbe profondamente la situazione, perché gli assicurerebbe una capacità di rappresaglia (la famosa deterrenza) che impedirebbe di sconfiggerlo in maniera decisiva anche sul piano delle armi convenzionali. E’ vero che esiste una controdeterrenza nucleare israeliana e americana, ma il fanatismo degli ayatollah è tale che non si potrebbe essere sicuri che, per esempio, non fossero disponibili a mettere in conto la cancellazione atomica di Teheran in cambio di quella di Tel Aviv. La “mutua distruzione assicurata” è il calcolo terribile che, svolto in maniera razionale, ha impedito che la “guerra fredda” fra Urss e Stati Uniti si sviluppasse in un conflitto militare vero e proprio. Ma nel caso dell’Iran questa razionalità non è affatto scontata.

Per esempio, una volta che fosse armato di bomba atomica, l’Iran potrebbe usare le armi convenzionali, in particolare i missili, che tiene in Siria, in Libano e a Gaza, per lo più affidati a suoi burattini come Hamas, Hezbollah, Assad, minacciando che in caso di reazione israeliana userebbe il suo arsenale nucleare; e  un ricatto del genere potrebbe proporre anche coi suoi avversari e concorrenti dell’area, dall’Arabia all’Egitto agli Stati del Golfo alla Turchia, financo alla Russia. Questa possibilità è naturalmente resa più probabile dal fatto di avere al vertice degli Stati Uniti un’amministrazione che  intende più lasciare “meno assegni in bianco ad alcuni partner tradizionali  dell’America” come si è espresso lo stesso Blinken.

Siamo dunque in mezzo a un gravissimo problema non solo per Israele e gli stati sunniti, ma anche per il mondo intero: un regime dittatoriale, intollerante, imperialista, spinto da un’ideologia aggressiva, che governa uno stato grande, strategicamente collocato, con un esercito forte e già diffuso tanto da essere determinante in una mezza dozzina di stati (Libano, Siria, Iraq, Yemen, Afaghanistan) si troverebbe libero di aggredire i vicini, svincolato dal contrappeso dei suoi nemici.

Come rimediare a questa situazione? L’America di Biden sembra voler ritornare sulla linea di Obama, che però è all’origine del problema. Il trattato Jpcoa del 2015, concluso da Obama e dall’Europa con l’Iran, non ha certo bloccato il suo armamento nucleare, com’è chiaro oggi: forse l’ha rallentato, ma certamente ha  fornito i fondi e la copertura politica con cui l’imperialismo persiano si è sviluppato; e ci sono voluti un paio di colpi di Trump e Netanyahu per frenare la sua avanzata. Pure Biden ha detto che il suo obiettivo è rientrare nel Jpcoa, magari per “migliorarlo”, cosa cui gli ayatollah hanno risposto con un netto rifiuto, avanzando la richiesta di riparazioni per le sanzioni di Trump.iran-israele-guerra-nucleare-progetto-dreyfus

Israele ha dichiarato di nuovo di recente che non considera possibile vivere con un Iran nucleare e che farà tutto quel che può per impedirlo. L’ultima volta ne ha parlato, in maniera inconsuetamente esplicita, il capo di stato maggiore dell’esercito israeliano Aviv Kochavi. Non bisogna farsi illusioni: questo significa guerra. Una guerra difficile, pericolosa, molto costosa per Israele in termini di vite e di distruzioni. Ma una guerra indispensabile per non subirne poi una con l’Iran nucleare. Quella fra attendere l’attacco avversario o prevenirlo è una scelta che Israele si è spesso trovato a dover fare, per esempio nel 1967. Quasi sempre, con l’eccezione del 1973 quando Israele si lasciò prendere di sorpresa rischiando una disastrosa disfatta, la scelta è stata quella di scegliere i tempi di una guerra inevitabile, approfittando dell’effetto sorpresa.

In realtà la guerra fra Israele e Iran è già in corso da tempo. Più precisamente, l’Iran ha usato la crisi siriana per posizionare truppe e armamenti in ordine di guerra vicino ai confini di Israele e ha usato a questo fine anche Hizbullah in Libano, Hamas a Gaza e gli Houthi in Yemen (da cui Israele è a distanza di missili e droni). Israele ha risposto in maniera progressivamente più intensa per impedire questo schieramento e ha sabotato direttamente più volte il programma di armamento nucleare dell’Iran. La guerra si è estesa anche alle reti telematiche. Ma per bloccare l’armamento nucleare iraniano vi dovranno essere  incursioni massicce sui bunker molto ben protetti dove l’Iran produce e accumula missili, combustibile nucleare, centrifughe. E poi bisognerà bloccare la reazione furiosa non solo dell’Iran ma dei suoi burattini in Iraq, Siria, Libano, Gaza, Yemen, Giudea e Saamaria.

Realizzare una missione così difficile, senza gli americani e in mezzo al tiro della contraerea iraniana recentemente modernizzata dai russi, è assai difficile. Ci vogliono i corridoi aerei e in genere la collaborazione di Arabia e paesi del Golfo (magari anche dell’Azerbaijan), i rifornimenti aerei, l’invisibilità ai radar, le bombe di penetrazione. Bisogna che atteggiamento avranno questi paesi, se gli Usa, che senza dubbio hanno i mezzi per “vederla”, la lasceranno passare o minacceranno di segnalarla all’Iran, come già fece Obama a suo tempo, che atteggiamento avrà la Russia, che potrebbe anch’essa tentare di impedirla e perfino se la Turchia, oggi padrona dell’Azerbaijan, farà qualcosa per bloccare l’uso delle basi e degli strumenti elettronici israeliani in quel paese. Bisognerà vedere infine che interferenza ci sarà da parte della politica israeliana, impegnata in elezioni assai difficili: c’è chi per esempio ha percepito una differenza di accenti fra Kohavi e Gantz, ministro della difesa e candidato alle elezioni nello schieramento anti-Netanyahu, che quando era capo dell’Esercito bloccò una missione analoga. Sono cose che sapremo (forse) solo a posteriori. Per ora, anche se il mondo non se n’è accorto, l’ascesa di Biden e la sua linea accomodante nei confronti dell’Iran ci hanno portato molto vicini a una guerra che potrebbe svolgersi nelle prossime settimane o mesi.

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