La lega gialla che odia Israele

Gerardo Verolino
Gerardo Verolino
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Antisemitismo

La lega gialla che odia Israele

Antisemitismo
Gerardo Verolino
Gerardo Verolino

Il Giallo nella simbologia raffigura la luce del Sole. Oltre che la luce della conoscenza e dell’energia. Ma, negli ultimi tempi, è diventato anche il colore dell’antisionismo, maschera dell’antisemitismo, e della vergogna. Gialli, infatti, si definiscono gli appartenenti al movimento di Grillo che pullula (pupula avrebbe detto Teresa Manzo l’ennesima, improbabile deputata pentastellata) di odiatori compulsivi d’israele. Dove si passa da Elio Lannutti, l’ultimo in ordine di tempo, quello che ha “rispolverato” i Protocolli dei Savi di Sion per dire che le banche sono controllate dagli ebrei e dai malefici Rothschild che vogliono sottomettere il mondo, a Manlio Di Stefano, un vero, conclamato, campione di odio verso Israele. Uno che non reputa Hamas un’organizzazione terroristica o che afferma che “bisogna fermare il genocidio” a Gaza; e che ritiene che i guai del Medio-Oriente derivino dal malsano “radicamento del sionismo”. O da Alessandro “Cuore di panna” (come era conosciuto ai tempi delle sue animazioni turistiche nei villaggi) Di Battista, il ministro degli Esteri in pectore, un maestro indiscusso della supercazzola, quello che cita, in un discorso alla Camera, la famosa “battaglia di Auschwitz” e non di Austerlitz. Dibba, il Conte Mascetti della politica italiana, che un’altra volta, vuole fermare il lancio di bombe da Israele verso Gaza perché “in un giorno hanno ucciso oltre 150 bambini” e per questo chiede che l’Italia richiami l’Ambasciatore da Israele. Il bellimbusto che dice di sostenere il terrorismo islamico come “unica arma dei popoli oppressi”. “Bisogna smetterla di considerare il terrorista un soggetto disumano” e “nell’era dei droni ho una sola strada per difendermi: caricarmi di esplosivo e farmi saltare in aria in metropolitana” legittimando così il terrorismo di Hamas perché “Gaza è un lager”. Dibba, che mette sullo stesso piano un segretario di Stato americano con un tagliagole dell’Isis, perché un miliziano jhiadista non è “così diverso da Colin Powell che mentì giustificando l’attacco all’Iraq”.

Nei criteri di valutazione grillina, le fanfaluche del Dibba sono attestazioni di merito che fanno salire, vertiginosamente, le sue quotazioni come prossimo ministro degli Esteri. E che dire del presidente della Camera, il filopalestinese di lungo corso Roberto Fico? Certo, un tipo assai diverso da quell’irrefrenabile fregnacciaro del Dibba. Lui che, invece, è un uomo mite e pacato con una voce in falsetto che fa tanto orgoglio queer, non strepita come il suo compagno di partito ma ne condivide, nel merito, tutte le battaglie. Come, ad esempio, quando si fa promotore di una campagna www percessareilfuoco.org “per far cessare gli attacchi indiscriminati contro la Striscia che, finora, hanno colpito anche i civili”. O quando auspica, anche lui, il ritiro dell’Ambasciatore d’Israele e la sospensione degli aiuti economici con Lo Stato ebraico. Inoltre avalla una mozione dei Cinquestelle per chiedere il riconoscimento della Palestina. Ma, è da presidente della Camera, che commette una palese scorrettezza quando incontra nel suo ufficio, la fanatica Mai Al Kaila, ambasciatrice, per volontà di Giorgio Napolitano, della Palestina a Roma, una donna legata all’ala militare di Al Fatah e già prigioniera nelle carceri israeliane. Altro che diplomatica. È una che spara a palle incatenate contro Israele definendo, il suo governo, né più né meno, come una banda di criminali. Pochi mesi fa, per il disdoro del Parlamento italiano, un’altra grillina, la presidente della commissione Esteri della Camera, Marta Grande, invita a parlare due loschi negazionisti, Alireza Bigdeli e MortezJami, niente di meno che membro e vicepresidente dell’Institute for Political and International Studies, la struttura che, nel 2006, a Teheran, organizza il congresso mondiale del negazionismo all’Olocausto! Questo è solo un assaggio. L’ avversione verso Israele dei Cinquestelle comprende buona parte dei parlamentari ed è ben radicato nel movimento.

Ma Giallo è anche il colore dei Gilets che stanno infiammando (e funestando) le giornate dei francesi. Che poi è il colore dei giubbotti catarifrangenti che gli automobilisti sono obbligati a portare in Francia. Nato come movimento pacifico di protesta dei cittadini che si sentono vessati da leggi ingiuste e aumenti dei prezzi indiscriminati, è presto degenerato nella sua variante violenta e teppistica. Una cosa è chiedere il riconoscimento dei propri diritti. Un’altra volerlo ottenere con la forza e la sopraffazione e mettendo a ferro e fuoco, come i Black Bloc, le città. Ebbene, qualche giorno fa, un nostro ministro, il vicepremier Di Maio, nella sua veste di capo politico dei Cinquestelle, ha incontrato una delegazione di Gilets, fra cui il leader dell’ala più estremista, Cristopeher Chalencon, un signore che su Facebook scrive che “la guerra civile è inevitabile” e che ritiene opportuna l’instaurazione di un golpe militare, per instaurare una sorta di patto politico che, nel nostro caso, assume anche le sembianze di una lega dell’antisionismo. Oggi, il nostro vicepremier annuncia di voler prendere le distanze dai manifestanti violenti. Ma, ormai, la “frittata”, é fatta.Tra le varie peculiarità dei Gilets, infatti, si è palesato anche, l’immancabile, odio verso i semiti.

Cosa c’entrano gli ebrei con la protesta antigovernativa, verrebbe da dire? Ma che domanda oziosa. Gli ebrei, quando c’è da trovare un comodo capo espiatorio, c’entrano sempre. Se le condizioni di vita in Francia peggiorano non è colpa del governo: è colpa degli ebrei. Se il costo della benzina cresce è colpa degli ebrei. Se i salari sono bassi è colpa degli ebrei. Se le pensioni non mi soddisfano è colpa degli ebrei. Gli ebrei hanno sempre colpa, a priori. D’altronde, gli episodi di antisemitismo registrati in poche settimane, in un movimento che è appena nato, sono tanti ed inquietanti. Sfilando in piazza ai cortei gridavano “Macron, sei la puttana degli ebrei”. Altri gridavano “La Francia muore di fame e gli ebrei accendono le luci di Channukkà”. Alla metropolitana di Parigi, tre Gilets, hanno aggredito una signora ebrea insultandola con frasi sconce ed antisemite. Sulla vetrina di una pasticceria, nel quartiere di Marais, a Parigi, dove nel 1982 in un ristorante ebraico furono uccise, in un attentato, sei persone, è apparsa la scritta con lo spray giallo “Juden”. Era logico che alla fine chi si intestasse, la guida, almeno moralmente, del movimento fosse il solito Dieudonné, il comico antisemita inventore del gesto della quennelle (una variante del saluto nazista), che, non a caso, sta spopolando tra i manifestanti e che definisce la protesta uno tsunami. In questo clima capita anche che due cassette della posta con il ritratto di Simon Veil vengano imbrattate con delle svastiche naziste. Il ministro dell’Interno francese denuncia che, nel 2018, gli atti di antisemitismo, nel Paese, sono aumentati del 74 per cento. Se si soffia sul fuoco dell’odio razziale, la teppaglia prende coraggio ed esce dalle fogne.

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