Gli occhi aperti di Fatou

La Corte Penale Internazionale dell'Aia contro Israele: un film già visto, che mina ulteriormente la credibilità dell'intera organizzazione

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Niram Ferretti
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Israele, Medio Oriente, pregiudizio antisraeliano

Gli occhi aperti di Fatou

La Corte Penale Internazionale dell'Aia contro Israele: un film già visto, che mina ulteriormente la credibilità dell'intera organizzazione

Ci dice Fatou Bensouda, procuratore capo della Corte Penale internazionale, l’organizzazione che recentemente John Bolton, Consigliere per la Sicurezza Nazionale degli Stati Uniti, ha platealmente sconfessato come un’organizzazione di parte, che se il villaggio beduino di Khan al’Ahmar sito nell’Area C della cosiddetta Cisgiordania, verrà demolito, si tratterà di un “crimine di guerra”. Non solo, la Bensouda, allarmata, avverte che terrà gli occhi bene aperti, non wide shut, su quello che succede ai confini di Gaza e Israele dove, la violenza è perpetrata “dagli attori di ambo le parti”. Quando si dice l’equanimità.

La violenza è violenza, naturalmente, e anche durante la seconda guerra mondiale i nazisti e gli angloamericani esercitavano violenza da ambo le parti, poi tocca intendersi su cosa rappresentavano e cosa rappresentano le due parti in contesa. Da una parte, per tornare all’attualità, Hamas che organizza una finta marcia per la pace e sguinzaglia miliziani il cui scopo è quello di introdursi oltre confine e non per portare ceste di fiori e frutta, dall’altra l’esercito regolare di uno stato democratico che spara e uccide soprattutto questi miliziani. Ma lasciamo a San Tommaso D’Aquino simili sottili distinzioni.

La Corte Penale Internazionale dell’Aia è la medesima che nel 2004 ha qualificato la barriera difensiva di Israele come illegale. Nessuna considerazione cogente venne data nel dispositivo della sentenza della ragione fondamentale per la sua costruzione; la salvaguardia della popolazione israeliana dalla violenza terroristica. Per la Corte, infatti, l’unica minaccia che avrebbe potuto giustificare da parte di Israele la costruzione di una barriera di protezione sarebbe stato l’attacco di uno stato armato. La virulenta ondata terroristica abbattutasi su Israele durante la Seconda Intifada non rappresentava per i giudici della Corte una ragione sufficiente perché esso dovesse dotarsi di una forma di difesa. Non a caso né Israele né gli stati Uniti hanno firmato il Trattato di Roma a cui la corte si ispira.

Ma Fatou Bensouda terrà gli occhi bene aperti su quello che accadrà in “Cisgiordania”, dopo che l’Alta Corte di Israele, ha rigettato l’appello contro la demolizione del villaggio, assurto a simbolo della “resistenza” araba contro la protervia sionista. Conta poco che secondo la legge israeliana il villaggio sia abusivo. Come possono gli israeliani decretare che qualcosa è abusivo se sono abusivi essi stessi? Così ci dicono, non Fatou Bensouda, che, non abbiamo dubbi, è giudice imparziale come Cassio era uomo d’onore, ma i paladini dei Diritti Umani, per i quali probabilmente, è giusto ciò che è scritto nello Statuto di Hamas del 1988, dove tutta la Palestina è considerata un waqf (dotazione perenne) islamica.

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D’altro canto Israele è abituata a essere accusata di crimini di guerra, è una costante. Dalla fantomatica pulizia etnica del 1948-49 che ha moltiplicato negli anni la popolazione araba (unico caso al mondo), alle altre nefandezze compiute, come a Jenin nel 2002, quando dopo il virulento scontro tra esercito israeliano e arabi-palestinesi, Yasser Arafat decretò che il “massacro di Jenin” poteva essere paragonato solo all’assedio di Stalingrado, seguito a stretto giro di posta da Saeb Erekat, il capo negoziatore palestinese che dichiarò alla stampa: “Il numero di morti si aggira sui 500”, aggiungendo: “Il campo profughi di Jenin non esiste più, e abbiamo notizia che vi avvengono esecuzioni di massa”.

Il numero effettivo dei morti a Jenin fu di 53 palestinesi e 23 soldati israeliani. Ci fu poi il rapporto Goldstone del 2009 quando Israele venne ancora accusata di crimini di guerra dopo l’Operazione Piombo Fuso, sennonché fu lo stesso Goldstone, nel 2011, a disconoscere l’impianto accusatorio del suo rapporto come scrisse sul Washington Post:

“Se avessi saputo allora quello che so oggi, il Rapporto Goldstone sarebbe stato un documento diverso. Le accuse di premeditazione da parte di Israele erano fondate sulle morti e le ferite dei civili in situazioni nelle quali la nostra missione intesa a verificare i fatti non disponeva di nessuna prova sulla base della quale potere giungere a conclusioni diverse. Mentre le investigazioni pubblicate dall’esercito israeliano e accettate nel rapporto del comitato delle Nazioni Unite, hanno stabilito la validità di alcuni episodi da noi investigati relativamente a casi concernenti soldati singoli, esse indicano anche che i civili non vennero presi intenzionalmente di mira…”

E si potrebbe andare avanti ancora a lungo, ma per brevità arriveremo ai giorni nostri, e alla Marcia per il Ritorno, durante la quale sarebbero stati uccisi dagli spietati cecchini israeliani “ragazzi inermi” (Massimo D’Alema), o “pacifici manifestanti”, così qualificati da buona parte della stampa, i quali, Hamas stesso annunciò, erano propri miliziani.

Sì, vanno davvero tenuti gli occhi bene aperti su Israele e i suoi crimini di guerra. A Berlino dicono ci sia un giudice, pardon, all’Aia.

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