L’autore dei primi testi di propaganda jihadista in Italia, Halili Elmahdi, è stato arrestato a Torino con l’accusa di associazione terroristica dello Stato islamico. Il 29enne marocchino, naturalizzato italiano, non è nuovo a finire in manette.

Già nel 2015 e poi nel 2018, il giovane era finito nelle nostre patrie galere sempre con l’accusa di terrorismo e di legami con Daesh. Allora gli inquirenti scoprirono che Elmahdi stava portando avanti una campagna di propaganda e proselitismo sul web. Condannato, gli venne tolta la cittadinanza italiana.

Non solo, perché nel corso della sua detenzione non ha mostrato alcun ravvedimento, anzi, pare abbia rafforzato il suo credo fondamentalista, assumendo sempre più atteggiamenti violenti.

Ravvedimento che, ovviamente, non è avvenuto neanche dopo la scarcerazione nel luglio 2023.

A rendere questa storia ancora più preoccupante è il fatto che su Halili Elmahdi pesa(va) un mandato di espulsione dall’Italia che non ha mai avuto luogo per fantomatici intoppi burocratici.

Qualcuno dovrà spiegarci, soprattutto in questo momento storico, quali ingranaggi della burocrazia italiana abbiano ostacolato il suo rimpatrio.

Rimpatrio che non è una problematica solo di casa nostra. Anche in Francia, la questione era salita ai disonori della cronaca in occasione dell’attentato alla sinagoga di Rouen in Francia di due settimane fa.

A essere accusato era stato un algerino di neanche 30 anni, che secondo Le Figaro, avrebbe dovuto lasciare il paese da diversi mesi, ma un suo ricorso al tribunale amministrativo aveva rimandato l’obbligo di espulsione.

I due episodi, che hanno delle caratteristiche in comune (non tutte), dimostrano i limiti della macchina della Giustizia, che per un motivo o per un altro non riesce a termine il proprio corso.

Si riuscirà mai a cambiare?