Yemen, l’ennesimo paese musulmano in cui non c’è più posto per gli ebrei

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

Yemen, l’ennesimo paese musulmano in cui non c’è più posto per gli ebrei

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Uno sparuto numero di famiglie. Ecco cosa rimane dell’antica e popolosa comunità ebraica yemenita ormai quasi totalmente fuggita all’estero dopo che le milizie sciite Houthi hanno preso il controllo della nazione negli ultimi due mesi. Il movimento Houthi, il cui motto è “Morte all’America, Morte a Israele, maledetti siano gli ebrei, l’Islam vincerà!”, si è reso protagonista di intimidazioni e violenze nei confronti degli ebrei dello Yemen aumentando la già massiccia emigrazione ebraica del paese.

Prima che Houthi e Al Qaeda si affacciassero in Yemen gli ebrei locali vivevano da millenni in pace con la minoranza sciita nell’altopiano del Nord. Quando lo scorso Settembre i ribelli Houthi hanno preso con la forza la capitale Sana’a anche l’ultimo rifugio sicuro per la comunità ebraica è andato perso. Venerdì una famiglia di sei persone è arrivata in Israele ed ha raccontato le difficoltà che i loro correligionari stanno affrontando.

Cartello con lo slogan del movimento Houthi

Cartello con lo slogan del movimento Houthi

Il capo rabbino Yahya Youssef ha scelto di non andarsene e vive ora in un appartamento blindato accanto al Ministero della Difesa. “Non ce ne vogliamo andare. Avremmo potuto farlo tanto tempo fa ma abbiamo deciso di rimanere qui. Parliamo arabo, vestiamo gli abiti tradizionali del paese e conduciamo uno stile di vita non lontano da quello degli altri abitanti.”

Nel 1949 la presenza ebraica in Yemen era stimata in circa 40,000 abitanti, oggi se ne contano meno di 200 tutti raggruppati nelle aree ancora presidiate dall’esercito. La maggior parte vive nella “Città Turistica”, una sorta di ghetto vicino all’ambasciata statunitense evacuata a Dicembre. Tagliati fuori dai negozi di lavorazione dei metalli, occupazione che hanno svolto per secoli, le zone che li ospitano riescono a malapena a soddisfare le esigenze primarie come cibo e acqua. Molti ragazzi hanno rinunciato a farsi crescere i riccioli (payot) per paura degli atti di bullismo dei coetanei musulmani.

Abu al Fadl, responsabile per il movimento Houthi del quartiere circostante, ha offerto rassicurazioni al rabbino Youssef affermando che “gli ebrei sono sicuri e nessun danno verrà fatto loro. Il problema non sono gli ebrei yemeniti ma Israele che occupa illegalmente la Palestina.” Rassicurazioni che però non cancellano le minacce di morte, le case bruciate e le continue violenze perpetrate dall’inizio delle ostilità tra il movimento e l’ormai inesistente governo statale.

Funzionari del governo d’Israele al momento si rifiutano di commentare per evitare di mettere in pericolo gli ebrei yemeniti ma non è da escludere che varie opzioni siano sul tavolo per portare in Israele il resto della comunità. Da non sottovalutare anche il fatto che, come testimoniato dalle parole del rabbino capo, molti sono ancora convinti di poter rimanere. La comunità yemenita infatti è nota per essere molto legata alle proprie tradizioni e spaventata dalla possibilità di vivere in un altro paese. Un pensiero ben sintetizzato dalle parole di rav Youssef: “In Israele le ragazze si ribellano ai loro padri. Non accetterei mai il fatto che un giorno mia figlia possa venire da me e dirmi che si sposerà senza il mio consenso. Non è ammissibile per le nostre tradizioni.”

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