Un approccio musulmano per la guerra al terrorismo

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

Un approccio musulmano per la guerra al terrorismo

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L’Europa ancora non ha deciso cosa fare in Libia e invoca una riunione speciale dell’ONU per scaricare su di essa la responsabilità di un eventuale intervento armato in Nordafrica. Il generale Abdel Fattah al-Sisi invece sembra avere le idee molto chiare e, dopo aver cominciato ieri i raid sulle postazioni dei jihadisti, si prepara ad un ambiziosa operazione militare in quello che fu lo Stato di Gheddafi in nome della lotta all’estremismo in Medio Oriente.

A questo va aggiunto l’impegno nel liberare la Penisola del Sinai, dove da qualche mese gruppi affiliati all’ISIS stanno mettendo a segno alcuni attentati contro l’esercito egiziano, e la cooperazione militare con l’Arabia Saudita per aiutarla a difendere i confini messi a rischio dai ribelli sciiti in Yemen a Sud e dallo Stato Islamico a Nord. In altre parole, al-Sisi si sta facendo promotore di un “approccio musulmano su scala regionale” al problema del terrorismo.

Il Presidente egiziano sta scegliendo bene i suoi alleati: tutte le Petrol-monarchie del Golfo hanno bisogno del suo aiuto per difendersi dalla minaccia ISIS e in cambio offrono circa 30 miliardi di dollari per riparare la disastrata economia egiziana. Alcuni contingenti dell’esercito del Cairo sono già al confine Nord tra Arabia Saudita e Iraq e altri sono in arrivo al confine con lo Yemen, in attesa di capire se sarà possibile intervenire nel paese costiero della Penisola per prevenire l’insediamento di un nuovo satellite iraniano nella regione.

Con 90 milioni di musulmani l’Egitto è la più grande e antica nazione araba, per questo era inevitabile che, dopo un periodo buio e di scarso peso internazionale, si riaffacciasse alla ricerca di una nuova leadership in Medio Oriente. La creazione di un’asse con Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti, Kuwait e Giordania è solo una parte degli ambiziosi piani di al-Sisi che probabilmente vede la Francia, l’Italia e l’Algeria come possibili partner. Non è un caso che al-Sisi abbia rivolto il suo primo appello all’Occidente proprio ad un’emittente radiofonica francese: “Lo Stato Islamico in Libia non è una minaccia solo per l’Egitto ma per tutta l’Europa. L’umanità ci giudicherà se non combattiamo il terrorismo e proteggiamo gli innocenti.” Le dichiarazioni del governo italiano e di quello francese, favorevoli ad un intervento se sotto l’egida delle Nazioni Unite, lasciano intendere che una collaborazione con l’Egitto è plausibile.

L’apertura di più fronti è pericolosa, sopratutto visto che uno di questi è interno. La risposta armata nel Sinai ha prodotto solo una maggiore radicalizzazione degli affiliati dell’ISIS con tutto il paese, da un mese a questa parte, a rischio attentati. Per questo, e per la riluttanza degli europei a mandare le proprie truppe di terra, probabilmente al-Sisi spingerà per una coalizione internazionale che effettui solo raid aerei in Libia, sulla scia di ciò che stanno facendo gli USA in Siria.

L’Egitto si sta preparando ad una serie di campagne militari di vitale importanza per la sua leadership e, di conseguenza, per la stabilità del paese. Sembra di rivivere il 1973, quando Sadat si preparava alla guerra con Israele. Da quel momento in poi per il paese delle piramidi è cominciato un lungo declino durato fino alle sommosse di piazza Tahrir, riuscirà al-Sisi a far tornare il paese una potenza regionale?

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