Proteggere i miei, ferire i tuoi. Il dramma dell’infanzia in Medio Oriente

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Micol AnticoliEditor & Event Manager
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Medio Oriente

Proteggere i miei, ferire i tuoi. Il dramma dell’infanzia in Medio Oriente

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Oggi è la 25° giornata internazionale per i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza e per chi si occupa di Medio Oriente è difficile non parlare di loro, gli innocenti che muoiono e a cui sono negati i diritti basilari.

Qui non si parla di chi ha ragione o chi ha torto in un conflitto, ma di come viene considerata la figura del bambino nelle diverse culture. Certo, anche in Italia vi sono bambini maltrattati o seviziati o sfruttati dai genitori, ma sono casi relativamente isolati e dobbiamo essere fieri di vivere in una società che tenta il tutto per tutto per tutelarli.

children

Israele è uno di quelli. Se camminando per strada a Tel Aviv ti capita di dare uno schiaffo a tuo figlio per qualcosa di grave che ha fatto, ti va bene se ti capitano i passanti che ti sgridano e ti fanno la ramanzina sul perché i bambini non vanno sfiorati; se va male, rischi di beccarti una bella denuncia. Più difficile è invece proteggere bambini e ragazzi in certe aree particolarmente colpite dal terrorismo o in certi periodi più pericolosi; ad oggi sono pochi ancora i luoghi senza bunker, nei parchi e negli asili le grosse e brutte costruzioni in cemento che servono da riparo antimissile vengono sempre dipinti con allegri disegni per sdrammatizzare la situazione, ma dal trauma psicologico è difficile difenderli. Quando suona una sirena, quando i piccoli sono costretti a scappare e sentono addosso la minaccia di morte. Che ne sa un bambino cosa sia la morte? In quei casi forse il concetto si impara precocemente. Poi il botto del missile esploso. Non è facile superare il trauma, tornare a dormire la notte quando si sa che da un momento all’altro si è costretti a correre al riparo.

Papà violenza

Ma ci sono bambini ancora più sfortunati, quelli che vivono a Gaza e nel West Bank. Sono creature per le quali la società palestinese non ha tutte queste premure. Diciamo che sia per differente cultura, ma non può essere una giustificazione. Bambini abituati al sangue e all’odio. Se si pensa a un bimbo italiano sulle spalle del padre, lo si immagina al parco o ad ascoltare le parole del Papa a San Pietro, ma a Gaza non è raro trovare un papà con in braccio un figlio e nell’altra mano il fucile che spara in alto. Che giustificazione può esserci? Negli asili la prima disciplina è l’incitamento all’odio e gli adolescenti che passano le estati nei campi di addestramento difficilmente avranno un futuro di successo. Durante la guerra, in cui Israele spesso bombarda edifici pieni di armi e abitazioni di terroristi, i bambini non vengono protetti dal governo, non si costruiscono loro bunker, ma i sotterranei sono utilizzati per nascondere le armi. Alla fine a centinaia muoiono e le bombe che li colpiscono sono di Israele, quindi non si può considerare scorretto dire “bambini uccisi da Israele”, ma la realtà – per chi la vuol vedere – è un’altra. Lo Stato ebraico è in guerra contro il terrorismo che colpisce i suoi di bambini. Quando l’esercito lo ritiene necessario bombarda, ma non senza lanciare avvertimenti per dare il tempo ai palestinesi di salvarsi e di salvare i propri figli. Ma in quel momento a Gaza si aprono due scenari: O i terroristi di Hamas impediscono alle famiglie di uscire dall’edificio che sta per essere colpito, oppure i genitori in questione sono questi stessi terroristi. I bambini muoiono da martiri per aver fatto da scudo a qualche combattente, oppure per aver aumentato il numero dimorti da attribuire ad Israele.

Nessuno dovrebbe esser costretto a scegliere fra la difesa dei propri bambini e la morte di altri innocenti.

Roma Club Gerusalemme

Certo è che in una cultura in cui gli adolescenti che si fanno saltare in aria si chiamano “martiri”, queste creature potranno conoscere soltanto una vita violenta o una morte precoce.

Disse tanti anni fa Golda Meir: “Possiamo perdonarvi per averci ucciso i nostri figli, ma non vi perdoneremo mai per averci costretto ad uccidere i vostri”.

La speranza è che un giorno si possano trovare soltanto realtà di convivenza e culture che pongano la via degli infanti davanti a tutto. La speranza è quella di vederli sempre così, insieme, come accade nel Roma Club Gerusalemme.

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