Mobilitazione delle ONG: gli Stati del Golfo Persico facciano di più per i rifugiati siriani

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

Mobilitazione delle ONG: gli Stati del Golfo Persico facciano di più per i rifugiati siriani

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rifugiati siriani

Fino ad oggi Libano e Giordania hanno accolto alle loro frontiere approssimativamente un milione e mezzo di profughi siriani. Non si può dire la stessa cosa dei paesi arabi del Golfo Persico: Stati come l’Arabia Saudita, Qatar, Oman ed Emirati Arabi Uniti hanno permesso l’ingresso a pochissime persone, in alcuni casi a nessuno. Alcune ONG hanno deciso allora di alzare la voce contro le petromonarchie sunnite incolpandole di aver voltato le spalle ai loro fratelli musulmani.

Bassam Al-Ahmad ad esempio fa parte di Violation Documentation Center, un’organizzazione siriana che si occupa di registrare le violazioni dei diritti umani nel paese colpito dalla guerra civile. “Alcuni di questi Stati non hanno accettato nemmeno un rifugiato. Sappiamo dell’aiuto fornito da molti Stati europei mentre dal Golfo non abbiamo ottenuto nulla” ha riferito ai media internazionali.

Bassam però non è l’unico a lamentare questo immobilismo da parte dei ricchi paesi del Golfo Persico. Amnesty International, Human Rights Watch e altre organizzazioni si sono scagliate contro l’Arabia Saudita e i suoi alleati ed hanno iniziato la loro campagna di sensibilizzazione sul web.

Secondo alcuni esperti il problema alla base della mancata accoglienza dei rifugiati siriani è di ordine demografico: le economie degli Stati del Golfo si basano prevalentemente sui lavoratori stranieri che in alcuni casi arrivano addirittura a costituire l’80% della popolazione totale. Agli occhi delle dinastie al potere un grande afflusso di rifugiati metterebbe a rischio la base demografica nazionale e, di conseguenza, la pace sociale nell’area.

C’è da dire però che gli Stati del Golfo hanno assunto una posizione sospettosamente difensiva sull’argomento. Le accuse sono state definite false e bollate come propaganda occidentale. Emblematico in questo senso è stato il tweet del diplomatico qatariota Nasser Al-Khalifa in cui ha accusato l’Europa e gli Stati Uniti di ipocrisia. Al-Khalifa, come molti suoi colleghi nel Golfo, ha più volte ribadito che si tratta di un tentativo da parte dell’Occidente di politicizzare la crisi dei migranti per scrollarsi di dosso le responsabilità e demonizzare il Consiglio di Cooperazione del Golfo.

Nadim Shehadi, Direttore del Fares Center, asserisce che i numeri riportati dai media occidentali sono fuorvianti visto che si basano sui dati forniti dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (UNHCR) il quale non terrebbe conto dei siriani che hanno raggiunto i paesi del Golfo. Questo perché le petromonarchie non hanno accettato la Convenzione di Ginevra del 1951 (che definisce chi è un rifugiato e quali sono le responsabilità delle nazioni che garantiscono l’asilo) e non possono essere incluse nel meccanismo che conteggia i rifugiati.

(Piccolo excursus: nel 1951 la maggioranza dei rifugiati nel mondo era palestinese e gli Stati del Golfo non accettarono il reinsediamento degli stessi al di fuori della Palestina per ovvi motivi politici rinunciando alla firma del trattato.)

Secondo il regime saudita all’interno del regno sarebbero giunti mezzo milione di siriani dall’inizio della guerra civile. Un numero non confermato da nessuna agenzia umanitaria e che insospettisce perché costituirebbe un totale maggiore di quello di qualsiasi Stato europeo in proporzione alla popolazione totale. Francoise De Bel-Air, demografa presso il Gulf Research Center di Ginevra, ha espresso scetticismo per queste cifre ed ha suggerito che la massima concessione dei paesi del Golfo è stata l’accettazione di familiari di persone già residenti. A supporto di questa tesi c’è il fatto che nessuno Stato ha presentato uno schema governativo formale per l’accoglienza dei rifugiati. Inoltre è possibile che ad entrare nel regno saudita siano stati solo coloro che potevano permetterselo economicamente e non chi ha perso tutto fuggendo dai bombardamenti e dai massacri.

A queste considerazioni bisogna aggiungere che molti Stati del Golfo sono coinvolti direttamente nella guerra civile siriana armando i vari gruppi di ribelli anti-Assad e assistendo i rifugiati fuori dai loro confini attraverso donazioni ai paesi che li hanno accolti.

Mentre tra Occidente e Golfo Persico rimbalzano le accuse di ipocrisia e cinismo la situazione sul campo in Siria peggiora con il passare del tempo. L’intervento russo ha incrementato il numero di persone costrette a lasciare le proprie case e la Turchia, che ha accolto più di due milioni di profughi, è quasi al punto di saturazione. E’ necessaria una soluzione tempestiva ma a quanto pare l’Europa non potrà di nuovo contare sull’aiuto dei ricchi produttori di petrolio.

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