Le nuove sirene di Trump

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Niram Ferretti
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Editoriali

Le nuove sirene di Trump

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Niram Ferretti

Gli annunci pro-israeliani di Donald Trump nascono come tutto quello che lo riguarda dall’estemporaneità, sono aperture del cuore che si illumina sotto l’impeto dell’impressione del momento, di qualche suggestione più o meno intensa, e tanto basta. La questione non riguarda solo Israele, naturalmente. Si tratta infatti di costituzione psicologica, di makeup caratteriale. Lo abbiamo visto con la Siria. Dopo l’attacco chimico di Khan Shaykhun, Trump decise lo strike americano quando gli vennero mostrate le foto dei bambini morti. Poco prima la sua Amministrazione non si era mostrata contraria nei confronti di una continuità di Assad.

Lo spostamento dell’ambasciata americana da Tel Aviv a Gerusalemme, promessa elettorale rivolta alla platea giubilante dell’AIPAC era (ed è) il simbolo di questa vicinanza del coraçon allo Stato ebraico, tuttavia da allora le cose sono cambiate e Trump si è fatto un po’ meno deciso sulla questione. Non che sia un male ponderare, ma poi bisogna capire chi si ascolta. Ci torneremo a breve.
Buon segno, anzi il migliore finora pro Israele di questa Amministrazione, è stata la nomina all’ONU della sorridente e schietta Nikki Haley. Lo ha detto chiaramente l’ex governatrice della Carolina che l’ossessione anti-israeliana del Palazzo di Vetro è persino surreale. Ma non basta una rondine a fare primavera, anche se vorremmo averne di rondini come la Haley.

Ora, alla viglia del viaggio di Trump in Israele in concomitanza con un anniversario fortemente simbolico, il cinquantenario della riunificazione di Gerusalemme, l’afflato israeliano di Trump sembra essersi acquietato. Sono delle ultime ore le notizie che Trump si recherà da solo in visita al Muro del Pianto e non in compagnia di Benjamin Netanyahu, e questo dopo un contrasto aspro tra un membro della delegazione americana già in Israele per preparare la visita del presidente, e la sua controparte israeliana, avente come oggetto proprio la possibilità che Trump visitasse il Muro insieme al primo ministro israeliano. “Non è territorio vostro, appartiene alla West Bank“ avrebbe detto il funzionario americano tra lo sconcerto dei presenti. Ha fatto seguito un comunicato della Casa Bianca che sottolinea come questa non sia la posizione ufficiale americana. Bene. Tuttavia Trump andrà da solo non mancando anche di visitare il Santo Sepolcro e di recarsi a Betlemme. Ce lo spiega il nuovo Consigliere per la Sicurezza Nazionale, McMaster il perchè, “C’è bisogno di tolleranza e unità tra tre delle principali religioni mondiali”, anche se non si vede cosa c’entri Betlemme con l’Islam a parte l’immagine di Gesù con la kefiah.

McMaster, il generale mastino con gli occhi buoni che pensa non sia opportuno parlare di “radicalismo islamico”, è una delle voci più ascoltate da Trump, insieme all’altro generale, quel Mad Dog Mattis ora Segretario alla Difesa, il quale, nel 2013 dichiarava che Israele fosse a rischio di apartheid. A tutto ciò va aggiunta la calorosa accoglienza riservata alla Casa Bianca a Abu Mazen, l’unico interlocutore potabile per riaprire i negoziati. Perché questo è il punto. Le voci si stemperano, i toni si fanno meno bellicosi, ritorna il vecchio film, la partita a rimpiattino tra il leader palestinese e il premier israeliano sotto l’egida americana. E infondo non è Israele che deve fare sempre gli sforzi maggiori, convincere il mondo della sua buona volontà?

Che abbia ragione Daniel Pipes quando prevede, come ha dichiarato in una recente intervista che Trump da “Un atteggiamento molto amichevole nei confronti di Israele potrebbe passare a un atteggiamento molto ostile…Se devo fare una previsione mi aspetto un atteggiamento moderatamente ostile”?
Chi sperava in un cambio di registro dirompente dovrà ricredersi. Equidistanza sembra essere per il momento l’atteggiamento prevalente, a meno che di improvvise pirotecniche sorprese. Ma ci crediamo poco.

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