Laicismo e guerra ai terroristi, le prime mosse di al Sisi per la “rivoluzione islamica”

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

Laicismo e guerra ai terroristi, le prime mosse di al Sisi per la “rivoluzione islamica”

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Lo scorso mese il Presidente egiziano Abd al Fattah al Sisi, in un discorso alle massime autorità religiose del paese, auspicava l’avvento di una “rivoluzione islamica” che mettesse al bando il terrorismo e riqualificasse l’Islam agli occhi dell’Occidente dopo l’ascesa dello Stato Islamico e la ripresa delle organizzazioni jihadiste sparse per il mondo.

Questa sua battaglia si è fin dall’inizio esplicata in un feroce scontro con i partiti religiosi, in particolare con i Fratelli Musulmani e il loro leader in Egitto Mohamed Morsi. Al Sisi da quando è al potere, grazie a un colpo di Stato effettuato manu militari proprio contro Morsi, si batte per una maggiore laicità delle istituzioni statali e come primo provvedimento ha bandito i partiti di ispirazione teocratica e messo in carcere i manifestanti appartenenti ai Fratelli Musulmani con l’accusa di incitamento alla violenza e disturbo della sicurezza generale. Morsi infatti aveva promesso un maggiore riavvicinamento alla Sharia scatenando le reazioni delle parti laiche o non musulmane della società egiziana già travagliata da una forte instabilità e da una devastante crisi economica.

Per dichiarare guerra al movimento politico sunnita al Sisi si è servito di qualsiasi strumento possibile: in nome della battaglia al terrorismo si è attribuito quasi tutti i poteri legislativi, esecutivi e giudiziari, cosa che gli ha permesso di arrestare gli oppositori politici e, in alcuni casi, di limitare la libertà di stampa. Ad un primo sguardo il suo modo di agire potrebbe sembrare dispotico ed egoista ma in realtà quello che sta facendo è cercare di tirare fuori l’Egitto da una crisi economica, politica e sociale che dura ormai da quasi 5 anni. Il contrasto alla Fratellanza Musulmana è dovuto prima di tutto ai continui tentativi di questa di minare la traballante quiete sociale della società egiziana invocando la Jihad contro i nemici di Allah e, soprattutto, alla volontà del Presidente di estromettere quelle forze estremistico-religiose dall’autorità statale per eliminare la corruzione dilagante e mostrare all’estero un’immagine del paese che sia credibile e capace di riprendersi quel ruolo di ago della bilancia degli equilibri mediorientali che aveva in passato.

Dopo gli attacchi terroristici subiti pochi giorni fa dai militari egiziani nella penisola del Sinai, in cui 30 di essi hanno perso la vita, una corte di giustizia del Cairo ha dichiarato fuorilegge il braccio armato di Hamas, le Brigate Izz ad Din al Qassam, colpevoli di aver aiutato un gruppo di estremisti affiliati allo Stato Islamico a commettere gli attentati simultanei. Oltre ad Hamas, il governo egiziano ha puntato il dito verso i Fratelli Musulmani, di cui il gruppo palestinese è diretta emanazione fuori dai confini nazionali. Non è la prima volta che il Presidente egiziano colpisce duramente Hamas: già subito poco dopo il suo golpe, al Sisi ha optato per la distruzione dei tunnel del contrabbando, che permettevano all’organizzazione terroristica di introdurre armi nella Striscia di Gaza, e ha più volte chiuso il valico di Rafah, lasciando come unica via d’accesso all’enclave palestinese il confine israeliano.

I rappresentanti di Hamas hanno condannato la decisione della corte affermando che si tratta di un errore visto che l’organizzazione è completamente devota alla lotta contro Israele e non ha interesse a destabilizzare l’Egitto che anzi starebbe usando Hamas come capro espiatorio per distogliere l’attenzione della popolazione. Una fonte interna ai terroristi di Hamas ha riferito alla Reuters che la sentenza toglie la legittimità di mediatore all’Egitto nella disputa fra israeliani e palestinesi. Proprio l’Egitto, durante la guerra a Gaza di questa estate, si era reso protagonista per essere riuscito prima a negoziare una serie di cessate il fuoco più volte violati da Hamas, poi a far raggiungere la tregua che ha messo fine ai combattimenti durati circa 50 giorni.

Il Presidente egiziano ha fatto i suoi primi passi verso la “rivoluzione islamica”, un processo che sarà lungo e sanguinoso ma che, a differenza delle effimere primavere islamiche del 2011, rischia seriamente di stravolgere l’assetto del Medio Oriente se convergerà, magari anche tacitamente per non turbare più di tanto la piazza egiziana, con le azioni di Israele e dei paesi Occidentali nel campo della lotta al terrorismo.

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