E se dietro lo Stato Islamico ci fosse la Turchia?

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Mario Del MonteEditor
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Medio Oriente

E se dietro lo Stato Islamico ci fosse la Turchia?

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La nascita dello Stato Islamico è circondata da alcuni misteri apparentemente inspiegabili. Come ha fatto a conquistare così rapidamente vaste zone della Siria e dell’Iraq? Come ha fatto un gruppo di non addestrati fanatici religiosi ad abituarsi velocemente all’utilizzo delle sofisticate armi americane catturate durante la conquista e a gestire saldamente il comando su più fronti? Da dove entrano i rifornimenti di cibo per il suo esercito se tutti i paesi confinanti si sono dichiarati ostili o partecipano attivamente ai raid della Coalizione Internazionale? La spiegazione a queste anomalie può essere ricercata nel celato appoggio della Turchia al Califfato di al-Baghdadi.

Un esempio di come la Turchia supporti l’ISIS si manifesta nella vendita del petrolio: lo Stato Islamico al momento controlla alcuni pozzi di petrolio in Siria e Iraq capaci di produrre un totale di 120.000 barili al giorno che vengono trasportati in Turchia e venduti al mercato asiatico con uno sconto del 70% rispetto al prezzo internazionale. Lo rivela Issam al-Chalabi, ex Ministro delle risorse petrolifere irachene, che stima in 100-150 milioni di dollari il guadagno ricavato da queste vendite solo nel 2014. Questo nesso inoltre spiegherebbe il comportamento irrazionale dei turchi che durante quest’anno non hanno fatto nulla per fermare il flusso dei circa 8.000 europei arrivati in Siria per arruolarsi con le milizie vestite di nero nonostante le pressioni da parte degli Stati Uniti. Secondo la televisione tedesca ARD l’ISIS avrebbe anche un suo ufficio di reclutamento non ufficiale nel quartiere fortemente islamista Fatih a Istanbul dove le reclute europee riceverebbero denaro e provviste prima di rimettersi in viaggio per la Siria. Teoria confermata dall’ex jihadista Skeikh Nabil Naiim che conferma la presenza di campi di addestramento e ospedali da campo dello Stato Islamico al confine fra Turchia e Siria.

A Giugno 2014 il sindaco della città di Mardin inviò all’ambasciatore dell’Unione Europea in Turchia un report contenente le prove del legame fra ISIS e governo turco. Secondo questo report ai membri delle milizie islamiche sarebbero state fornite delle divise dell’esercito turco per passare indisturbati al confine o per incontrarsi con i rappresentanti del partito del Presidente Erdogan, l’AKP. Ancora più recentemente il magazine Newsweek ha pubblicato un articolo in cui un ex tecnico delle comunicazioni dello Stato Islamico descrive dettagliatamente i rapporti tra questo e la Turchia. In alcune occasioni ci sarebbe stata addirittura una comunicazione diretta con l’esercito per coordinare un attacco contro le forze curde.

Nel frattempo la Turchia continua a rifiutarsi di partecipare alla campagna di raid aerei guidata dagli Stati Uniti e ha respinto la richiesta di aiuto dei curdi che stanno combattendo disperatamente al confine con la Siria. L’offensiva sulla città di Kobane, costata mesi di preparazione e circa 1,000 uomini all’esercito di al-Baghdadi, si inquadra così nella strategia di ottenere un punto di contatto diretto con la Turchia per rendere ancora più facili gli accessi per le nuove reclute provenienti dall’estero. Inoltre questo spiegherebbe perché non c’è stato un incremento delle forze di sicurezza turche al confine nonostante fosse in avvicinamento un consistente numero di soldati dell’ISIS.

L’assistenza da parte dell’esercito turco risolverebbe anche il problema della capacità dello Stato Islamico di coordinare simultaneamente gli attacchi ai fronti Nord (curdi), Est (esercito iracheno) e Ovest (esercito di Assad). Senza contare che per maneggiare gli armamenti americani catturati all’esercito iracheno c’è bisogno di una familiarità con queste armi di cui solo gli ufficiali turchi dispongono in quanto membri della NATO (gli ex ufficiali di Saddam di cui si è parlato spesso sono stati addestrati con forniture militari provenienti dall’Unione Sovietica).

Perché mai la Turchia dovrebbe supportare l’ISIS? Dopo decenni di governi secolari e democratici, Ankara è ora dominata da un governo islamista che ha l’ambizione di riunire sotto la sua bandiera gli arabi sunniti ripristinando in un certo senso l’egemonia dell’epoca dell’Impero Ottomano. Tutte le forze che sono state attaccate dall’ISIS sono rivali della Turchia o comunque gruppi che hanno una certa ostilità nei confronti di questa come i curdi, l’Iran, l’esercito siriano ancora leale ad Assad, Hezbollah e il governo sciita iracheno, mentre obiettivi più morbidi come le piccole monarchie del Golfo sono stati risparmiati. In ragione di questa svolta islamista del governo turco i rapporti con Israele si sono progressivamente deteriorati culminando nell’incidente della Mavi Marmara avvenuto in acque internazionali nel 2010. Da quel momento il Presidente Erdogan ha accusato Israele di qualsiasi avvenimento nefasto in Medio Oriente: dalle rivolte in Egitto alle manifestazioni anti-governative dei cittadini turchi passando per la guerra con Hamas, Erdogan ha più volte lanciato dei pesanti attacchi allo Stato ebraico spesso anche in modo totalmente irrazionale.

Gettando uno sguardo sulla storia della Turchia non è difficile credere che questa supporti le brutali azioni di pulizia etnica dello Stato Islamico. Ad oggi lo sterminio degli armeni, avvenuto intorno al 1915 con metodi che sono molto simili a quelli utilizzati dal Califfato nei confronti degli yazidi, ancora viene negato dal governo turco. Non è possibile fornire una descrizione chiara e precisa dei rapporti tra ISIS e Turchia ma, alla luce delle considerazioni appena espresse, è chiaro che in una certa maniera da Ankara vedano con favore un movimento che si oppone all’egemonia iraniana nell’area e che è impegnato in una lotta senza quartiere contro gli eterni rivali curdi. Sebbene tutte le informazioni al riguardo provengano dai media americani e israeliani questa visione ci fornisce un approccio in grado di riportare alla razionalità il comportamento della Turchia di fronte all’avanzata dello Stato Islamico. Solo invertendo la rotta e cooperando con la Coalizione Internazionale la Turchia può provare la sua innocenza, se continuerà a rifiutarsi è negli interessi di tutti gli Stati del Medio Oriente che le Nazioni Unite comincino ad indagare sull’esatta natura dei rapporti tra Erdogan e il Califfo al-Baghdadi.

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