Le dinamiche oscure degli aiuti umanitari ai palestinesi

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Elena LattesBlogger, collabora con diverse testate tra le quali Agenzia Radicale e Ebraismo e Dintorni
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Israele, Medio Oriente

Le dinamiche oscure degli aiuti umanitari ai palestinesi

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Elena LattesBlogger, collabora con diverse testate tra le quali Agenzia Radicale e Ebraismo e Dintorni

Le dinamiche oscure degli aiuti umanitari ai palestinesi. Secondo l’Arab Center for Research and Policy Studies di Washington – affiliato all’omonimo Istituto fondato nel 2010 nel Qatar – fra il 1994 e il 2020 i finanziamenti umanitari destinati ai palestinesi hanno raggiunto la cifra di 40 miliardi di dollari. Di questi, poco più del 35% sono andati all’Autorità Palestinese mentre il resto è stato distribuito ad altre istituzioni presenti nei territori. I principali donatori sono stati l’Unione europea per il 18,9 %, gli Stati Uniti (14,2%), l’Arabia Saudita (9,9%), la Germania (5,8%), gli Emiarati Arabi Uniti (5,2), la Norvegia (4,8), il Regno Unito (4,3), la Banca Mondiale (3,2), il Giappone e la Francia.

In particolare, l’Unione Europea, nel tentativo di promuovere la soluzione dei “due Stati per due popoli” oltre all’Autorità Palestinese, ha finanziato direttamente varie organizzazioni fra le quali la famigerata UNRWA (che, è bene ricordare, gestisce le scuole e produce materiali didattici nei quali si insegna ad odiare e uccidere tutti i “sionisti” e si addestrano i bambini fin dalla tenera età di 4-5 anni all’uso delle armi e alle pratiche di guerra). Restringendo il focus al nostro continente e al periodo più recente i suoi flussi nel periodo più recente, tra il 2020 e il 2022, l’Unione Europea ha destinato alle organizzazioni palestinesi 26 milioni e mezzo di Euro, cifra salita a 103 milioni nel 2023 e più che raddoppiata nel 2024 con 237 milioni, a cui si aggiungono ulteriori 125 milioni per progetti specifici veicolati attraverso partner come la Croce Rossa e la Mezzaluna Rossa. Sotto l’egida dell’Autorità Palestinese (nella cosiddetta West Bank, ovvero Giudea e Samaria) vivono circa 3 milioni e mezzo di persone, mentre nella Striscia di Gaza risiedono poco più di due milioni di individui.

Se confrontiamo questi dati con quelli relativi ad altri Paesi, ci rendiamo conto dell’enorme sproporzione a danno delle popolazioni più povere della Terra.

Secondo la Banca Mondiale, infatti, il Paese più bisognoso al mondo risulta essere il Burundi che conta 13 milioni e mezzo di abitanti, di cui 450mila sono profughi e 60 mila bambini soffrono di sintomi da malnutrizione acuta. Ebbene, il Burundi nello stesso 2024, ha ricevuto dall’Unione Europea, soltanto 6 milioni di €. Ciò significa che un palestinese medio riceve, attraverso le nostre tasse, un aiuto di 110 volte superiore a quello di un burundese.

Prendiamo un altro esempio. Sempre la Banca Mondiale comunica che il secondo Paese più povero del mondo è il Sudan del Sud (la cui popolazione, fra l’altro, è falcidiata in un’eterna guerra con il Nord) che conta 12 milioni e mezzo di persone e che nel 2024 ha ricevuto, sempre dall’Unione Europea, poco più di 110 milioni. Dunque, meno di un quinto procapite rispetto ai palestinesi. E così potremmo andare avanti con almeno altri 10 Stati africani devastati da siccità, epidemie, dittature e sanguinosi conflitti.

Nonostante quindi nei territori governati da Fatah e Hamas giungano una quantità di aiuti che potrebbero risolvere gran parte dei problemi più gravi in almeno sei-sette Paesi africani, ogni giorno i media, i politici e perfino gli artisti, i filosofi e i letterati, ci parlano di quanto a Gaza si muoia di fame. Già nel primo decennio di questo secolo molti giornali e “organizzazioni umanitarie” sostenevano che “la situazione alimentare a Gaza era spaventosa”, che la popolazione era allo stremo, che non aveva accesso all’acqua potabile e che i bambini soffrivano di gravissima malnutrizione. Eppure la stessa popolazione (o chi la governa) è stata in grado di costruire in così pochi anni una rete di tunnel da far invidia a qualunque sistema di metropolitane al mondo e di perpetrare continui attacchi ai civili israeliani. Non solo, ma finora non si è visto nemmeno un bambino denutrito (le uniche immagini che girano per la rete sono state palesemente realizzate con photoshop o con l’intelligenza artificiale) e anzi, alcuni enti internazionali sostengono che fra i palestinesi c’è una percentuale più alta rispetto a tutte le altre popolazioni della zona, di obesità e sovrappeso. In particolare fra le donne.

Se poi si fa una ricerca (rigorosamente in arabo per aggirare almeno parzialmente la propaganda destinata al mondo “occidentale”) si scopre un panorama di attività commerciali sorprendentemente vivaci: gelaterie, ristoranti e negozi traboccanti di ogni genere di merce, corredati di indirizzi precisi, indicazioni stradali e numeri di telefono, con account sui social media aggiornati con foto e video anche nei giorni più recenti.

Dunque, se è innegabile che il conflitto scatenato da Hamas abbia causato morte e distruzione, è altrettanto vero che l’analisi dei flussi di finanziamento e delle reali condizioni di vita nella regione solleva interrogativi inquietanti sulla loro effettiva destinazione e sull’efficacia degli aiuti internazionali. La sproporzione nell’allocazione delle risorse, che penalizza drammaticamente popolazioni ben più bisognose, unitamente alle contraddizioni emerse sul campo, impone una riflessione critica e urgente sulla trasparenza, la gestione e l’impatto degli aiuti umanitari destinati ai territori palestinesi. È doveroso chiedersi se tali ingenti somme stiano realmente contribuendo al benessere della popolazione civile o se, al contrario, alimentino dinamiche oscure e distorsioni che perpetuano una crisi umanitaria selettiva e ignorano sofferenze altrettanto, se non più gravi in altre parti del mondo.

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