Nikki Haley e lo sconcio del Consiglio per i Diritti Umani

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Niram Ferretti
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Medio Oriente

Nikki Haley e lo sconcio del Consiglio per i Diritti Umani

Nel suo discorso al Graduate Institute of Geneva tenuto il sei giugno, prima di partire per Israele, dove si fermerà tre giorni, Nikki Haley, ambasciatrice USA presso l’ONU, ha messo in luce impietosamente l’assoluta assenza di credibilità morale del Consiglio Per i Diritti Umani con sede al Palazzo di Vetro. Non che ci volesse molto a farlo, il Consiglio Per i Diritti Umani, versione aggiornata della Commissione per i Diritti Umani creata nel 1947, è da lungo tempo diventato una farsa.
Lo ricorda Dore Gold già ambasciatore israeliano alle Nazioni Unite:

“Il principale organismo dell’ONU relativo ai diritti umani, la Commissione per i Diritti Umani, venne fondata dopo la Seconda Guerra Mondiale e presieduta da nei suoi primi tempi da Eleanor Roosevelt, ma nel 2003 le Nazioni Unite elessero la Libia di Muammar Gheddafi, sponsor del terrorismo e prevaricatrice di diritti umani, a presiedere l’organismo. Fu un segnale eloquente della bancarotta della commissione la quale era rimasta in silenzio a proposito dei campi di sterminio cambogiani, degli assalti cinesi contro i manifestanti a Piazza Tienanmen, e degli omicidi di massa perpetrati in Uganda da Idi Amin. Vi fu altrettanto stupore quando, poche settimane dopo l’11 settembre, la Siria, uno dei principali stati sponsorizzatori del terrorismo internazionale, venne eletta al Consiglio di Sicurezza dell’ONU per un periodo biennale”.

Nikki Haley, dal canto suo, ha sottolineato come la bancarotta di cui scrive Gold, non solo sia sempre attuale, ma sia persino peggiorata. Basta l’elenco di alcuni dei membri del Consiglio per suscitare sconcerto e raggelata ilarità, Arabia Saudita, Cuba, Venezuela, Cina, Burundi.
Uno degli aspetti che certificano nel modo più inequivocabile di che cosa si tratta è la gogna alla quale è sistematicamente messo Israele. Israele che viene giudicato dall’Arabia Saudita, dal Venezuela, da Cuba, dalla Cina e dal Burundi come uno stato che violerebbe i diritti umani, è già di per sé talmente surreale da precipitarci immediatamente all’interno del mondo pazzo e sottosopra di Alice nel Paese delle Meraviglie, se non fosse che, purtroppo, non si tratta di una fiction, ma della realtà. Lo ha sottolineato l’ambasciatrice Haley prendendo di petto l’Articolo 7 del Consiglio:

“L’articolo 7 del Consiglio deve essere rimosso. Questo è, ovviamente, lo scandaloso meccanismo che seleziona Israele in mondo che sia automaticamente criticato. Non esiste alcuna ragione fondata sui diritti umani perché tale articolo esista. Esso costituisce la carenza principale del Consiglio per i Diritti Umani, trasformandolo da una organizzazione che potrebbe servire il bene universale in un organismo soverchiato dalla propria agenda politica. Dalla sua istituzione, il Consiglio ha passato più di settanta risoluzioni aventi come mira Israele. Ne ha passate solo sette che hanno preso di mira l’Iran. Questa costante campagna patologica contro un paese che detiene un robusto record a favore dei diritti umani non rende Israele motivo di derisione, ma il Consiglio stesso”.

L’oscenità dell’Articolo 7, costruito apposta su Israele, (non esiste nulla di simile relativamente ad alcun altro paese), non solo è un obbrobrio morale, ma certifica con evidenza spudorata il pregiudizio incistato all’interno dell’organismo stesso, la sua totale mancanza di autorevolezza e credibilità. La discriminazione nei confronti dello Stato ebraico, d’altronde, non deve meravigliare. Si tratta della riproposizione del paradigma della colpevolezza, fulcro di ogni forma di antisemitismo. Non è un caso che sia applicato all’unico stato degli ebrei al mondo. A questo dispositivo criminalizzante appartiene anche una novità recente:

“Lo sforzo del Consiglio di creare un database il cui scopo è quello di infangare le compagnie che fanno affari in aree controllate da Israele, è soltanto l’ultima nella lunga lista di azioni vergognose. Mettere sulla lista nera delle compagnie senza nemmeno guardare alle loro pratiche di assunzione o ai loro contributi al miglioramento locale, ma unicamente basandosi sulla loro operatività in zone di conflitto, è contrario alle leggi del commercio internazionale e a qualsiasi ragionevole definizione dei diritti umani. E’ un tentativo di offrire un certificato internazionale di approvazione al movimento antisemita BDS. Deve essere respinto”.

Le parole di Nikki Haley riconfermano la sua determinazione risoluta di volere agire senza fare sconti a nessuno, smascherando con fermezza la campagna di diffamazione nei confronti di Israele che all’ONU dura da cinquanta anni a questa parte.

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