I nuovi “amici” di Israele resteranno in clandestinità

Nello scacchiere mediorentale il ruolo di Mohammad Bin Salman assume una posizione sempre più centrale

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Piero Di Nepi
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Israele, Medio Oriente

I nuovi “amici” di Israele resteranno in clandestinità

Nello scacchiere mediorentale il ruolo di Mohammad Bin Salman assume una posizione sempre più centrale

I nuovi “amici” di Israele resteranno in clandestinità. Il 21 aprile 2018 –due mesi fa- l’intera Riyadh, quasi 6 milioni di abitanti, veniva messa in allarme da una serie di esplosioni e dal fuoco di armi automatiche che turbavano la quiete silenziosa del compound che isola la reggia, cuore del potere saudita, dal resto della città. A partire da quel giorno e fino al 18 maggio, l’erede al trono degli Al Saud scompare dalle cronache politiche internazionali che lo avevano visto protagonista negli ultimi mesi. A Teheran, a Caracas e in qualche capitale europea d’occidente dove si affida soltanto a siti di fake news spazzatura il wishful thinking in materia, sono parecchi quelli cui non dispiacerebbe l’uscita di scena –deficolpa nitiva- del futuro re.

Poi il 18 maggio viene diffusa foto di MBS (come ormai tutti lo chiamano sui media) in atteggiamento fraterno con il presidente egiziano, con il principe ereditario di Abu Dhabi e con il re del Bahrain. Alleati strettissimi nel turbolento mondo islamico. Si parla di un classico fotoshop.

Finalmente Mohammad bin Salman bin Abdulaziz Al Saud compare a Mosca in diretta mondovisione il 14 giugno, accanto a Vladimir Putin, per la sfortunata partita inaugurale dei mondiali. Sfortunata per i sauditi: 0-5, a favore dello squadrone russo. Il principe ereditario di Riyadh ha appena firmato con il presidentissimo un accordo, in rappresentanza dei principali produttori di petrolio confederati nell’OPEC, che sincronizza la Russia nella generale tendenza a un forte aumento della produzione di idrocarburi e il conseguente calmiere al ribasso. Il prezzo non dovrebbe più sfondare la soglia dei 75-80 dollari per il Brent e dei 70 per WTI/Nymex. Russi e sauditi sanno benissimo che i tempi del ricatto petrolifero sono finiti e oggi la partita si gioca sul gas, anzi sulla geopolitica dei gasdotti. I consumatori non lo sanno, ma un prezzo alto aiuta le grandi compagnie europee (Total, Shell, ENI, BP) e anche l’Iran, per la parte di produzione che riuscirà a sottrarre alle sanzioni made in USA.

Ma insomma di quale si sarebbe macchiato MBS ? La solita, fatale nel mondo islamico. Il 19 novembre 1977 il presidente egiziano Muhammad Anwar al-Sadat atterra con un volo di Stato a Gerusalemme. Capitale di Israele, da lui non contestata. Parla alla Knesset, dove pronuncia un discorso che passerà alla storia. Il 26 marzo 1979 firma a Washington il trattato di pace. Il 6 ottobre 1981, durante la parata militare che ogni anno celebra la vittoria (tale tuttora è ritenuta in Egitto) nella guerra del 1973, Sadat viene assassinato da un commando di terroristi. L’accordo con i “sionisti” non deve essere perdonato.

Decenni di propaganda anti-Israele/antisemita condizioneranno per ogni prevedibile futuro la geopolitica del mondo musulmano. I leader palestinesi al potere nel West Bank possono ringraziare il fallimento degli accordi di Oslo se restano in sella senza turbolenze devastanti. Certamente gli interessi economici, politici e militari sono interessi decisivi: il potere a misura di continenti interi esercita un’attrazione irresistibile, mentre la micidiale guerra di religione in corso tra i sunniti di Riyadh e gli sciiti di Teheran fa sbiadire il ricordo delle guerre che contrapposero in Europa cattolici e protestanti. Dunque negli ultimi anni si è avviato un lento processo di distensione tra Israele e le monarchie del Golfo, minacciate insieme con Israele dal regime degli ayatollah.

MBS, naturalmente dirige le operazioni, e vuole che restino implicite, anzi sotterranee. Gli Emirati, l’Oman e il Bahrain si occupano dell’acceleratore, il Kuwait frena, il Qatar si dichiara amico di Teheran ma al contempo deve fronteggiare il boicottaggio di tutte gli altri regnanti. Paradossalmente gli vengono però rinfacciate antiche e pubbliche relazioni con Israele, che proseguirebbero nelle profondità più nascoste e nei meandri più segreti della grande politica mediorientale. La Turchia di Erdogan vorrebbe evidentemente ristabilire l’Impero Ottomano e la Sublime Porta. Israele diventa uno sbarramento strategico, non si presta al gioco e resta in guardia. Spera forse ingenuamente di rompere il muro dell’ostilità che si snoda dal Marocco al Borneo.

L’Iran non ha più nulla da perdere. Cala sul banco carte pericolose per danneggiare Riyadh. Funzionari iraniani dichiarano di aver facilitato venti anni fa il transito di militanti di Al Qaeda –provenienti dall’Afghanistan e dall’Arabia Saudita– successivamente implicati nella preparazione dell’attacco alle Torri. Mentre la Guida Suprema spiega al mondo che a Teheran, bontà loro, non si vuole il genocidio degli ebrei in Israele ma solo la fine del “regime sionista”. E non trascura ovviamente la bordata contro il sunnita nazionalista/panarabo Gamal Abd el-Nasser, ricordando come fosse proprio lui a proclamare dal Cairo nel maggio del 1967 che tutti gli ebrei di Israele sarebbero stati “buttati in mare”, senza eccezioni e senza pietà. Seguì la Guerra dei sei giorni. A Teheran sanno forse molto bene che gli ebrei di oggi le minacce le prendono sul serio.

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