Il BDS può annientare Israele. Ecco lo scenario

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Giulio Meotti
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Il BDS può annientare Israele. Ecco lo scenario

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L’economia di Israele potrebbe perdere fino a 40 miliardi di shekel l’anno (10,5 miliardi dollari) e migliaia di persone potrebbero perdere il posto di lavoro se il paese fosse soggetto a un boicottaggio internazionale completo, secondo un rapporto del ministero delle Finanze di Gerusalemme. Si parla di 36.500 licenziamenti, a seconda sulla portata del boicottaggio e del suo tasso di adozione in tutto il mondo.
Il rapporto, redatto sotto l’ex ministro Yair Lapid, era stato tenuto segreto fino ad ora. Gli economisti del ministero delle Finanze hanno presentato cinque scenari diversi per il boicottaggio internazionale.

Se il boicottaggio di Israele mantenesse l’attuale “crescita moderata” – boicottaggio volontario dei paesi europei, catene di negozi o organizzazioni di consumatori che boicottano i beni prodotti negli insediamenti in Cisgiordania – il danno per il mercato israeliano potrebbe raggiungere il mezzo miliardo di shekel all’anno, e circa 430 israeliani potrebbero perdere il lavoro.
Se il boicottaggio si intensificasse, come è probabile, e arrivasse a interessare i prodotti realizzati all’interno della Linea Verde, Israele perderebbe 1.800 posti di lavoro. In uno scenario estremo, in cui l’Unione Europea boicotta i prodotti israeliani e ferma gli investimenti esteri nel paese – sanzioni analoghe a quelle imposte contro il Sudafrica dell’apartheid – 36.500 persone sarebbero senza lavoro e Israele perderebbe 40 miliardi di fatturato ogni anno. Scenario estremo appunto, ma gli economisti avvertono: “Nessuno è in grado di prevedere cosa accadrà”.

mozaheb20130308144647813Intanto le merci israeliane stanno scomparendo da numerose città europee. Sono città importanti, come Leicester, la decima più grande del Regno Unito. Il consiglio comunale dominato dal Labour ha trasformato Leicester nella prima città dell’Unione Europea a mettere al bando tutti i prodotti “made in Israel”. E’ proibita la distribuzione di qualsiasi prodotto realizzato nello stato ebraico. A Dublino, un popolarissimo ristorante, l’Exchequer, non tiene più prodotti israeliani. La città irlandese di Kinvara ha informato le botteghe, i ristoranti e persino le farmacie che non potranno più vendere prodotti israeliani, nemmeno gli antibiotici della Teva, leader israeliana dei farmaceutici. La catena di supermercati SuperValu ha rimosso invece le carote israeliane. E se un caffè di Londra ha esposto la scritta “No Israeli products here”, la catena Macy’s ha smesso di vendere i prodotti israeliani della Sodastream, la catena Morrisons ha bandito i datteri israeliani e Waitrose ha dismesso gli ordini per le erbe israeliane. E se in Norvegia i due maggiori importatori di verdure, Bama e Coop, hanno chiesto ai fornitori in Israele di non spedire più frutta e verdura prodotte negli insediamenti, la Unilever, che realizza prodotti casalinghi come lo shampoo Sunsilk e la vaselina, ha venduto la propriaquota del 51 per cento nelle fabbriche degli insediamenti.

E il boicottaggio di Israele si comincia a sentire nei fatturati. L’esportazione dei prodotti agricoli dalla Valle del Giordano, uno dei polmoni agricoli dell’industria israeliana, è scesa del quattordici per cento. “Oggi non vendiamo più nulla in Europa”, ha detto David Elhayan, a capo del Jordan Valley Regional Council. In Germania la catena di supermercati Kaiser non vende più da due anni i prodotti israeliani dalla Cisgiordania. Dalla Edom, un importante produttore di frutta israeliana, ha detto al giornale economico The Marker: “Gli importatori europei ci dicono che non possono vendere prodotti israeliani. Un acquirente europeo mi ha detto che è stato bloccato in diverse catene in Danimarca e Svezia, e poi in Belgio. Non vi è alcun boicottaggio ufficiale, ma tutti hanno paura di vendere frutta israeliana”.

Si tratta di un atto di antisemitismo come la campagna degli anni di Hitler “Non comprate dagli ebrei”. In tedesco era “Kauf nicht bei Juden”. Oggi suona più semplice: BDS.

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